Brescia Museo Diocesano

3 - 27 ottobre 2015

Atti del Convegno

Sulle tracce di un ritratto: cronaca di una ricerca1

Maria Virginia Guarneri2

"Brescia, 31 marzo 1849. La rivolta della città contro la dominazione austriaca dura ormai da nove lunghi e sanguinosi giorni. Dal Castello, dove il generale Haynau, inviato dal maresciallo Radetzky, ha stabilito il suo quartier generale, giunge un ultimatum: se entro il giorno successivo la città non si arrende, verrà messa a ferro e fuoco. Nella notte, nel Palazzo della Loggia dove sono riunite le autorità cittadine con i capi della rivolta, scoppiano violente discussioni tra gli irriducibili, decisi a continuare la lotta e i moderati che invece vorrebbero trattare la resa con gli austriaci. Finalmente, verso mattina, si giunge a un accordo: verrà inviato un rappresentante della città a parlamentare con Haynau per trattare la resa. Rappresentante che deve essere persona della massima fiducia, coraggiosa e di riconosciuto prestigio. La scelta è unanime e cade su un monaco: padre Maurizio Malvestiti. Il giorno seguente, padre Maurizio, accompagnato da un confratello e da un cittadino, sfidando cannonate e colpi di fucile, sale al Castello e nel lungo colloquio con Haynau ottiene che la città sia salva. Le 10 giornate di Brescia sono terminate e la città, per il coraggio e la determinazione con cui ha tenuto testa agli austriaci, verrà chiamata la Leonessa d’Italia."
Nella casa dei miei genitori, appesa in corridoio in una sottile cornice dorata, c’era la riproduzione di un quadro: si vedeva un anziano frate seduto su una panchetta, vestito di un ampio saio marrone, il cordiglio ricadente lungo la sottana, le braccia conserte sul petto, un gomito appoggiato ad uno spoglio scrittorio, un foglio stretto in una mano. Il viso segnato, di chi ha vissuto a lungo e intensamente, corti capelli bianchi ricoperti da uno zucchetto e due occhi scuri e penetranti, circondati da rughe, che sembravano seguirmi quando gli passavo davanti. Da bambina, la mamma mi aveva raccontato che quello era il ritratto del nostro avo, “l’eroico padre Maurizio” che aveva salvato Brescia dalla distruzione, e mi raccontava l’episodio dell’incontro con Haynau. Ma quando volevo saperne di più della sua vita, il ricordo sfumava, e io non capivo per quale ragione fosse stato scelto proprio lui per la missione al Castello, e cosa volesse dire che era “un nostro avo”; la mamma e sua sorella portavano il suo stesso cognome ma, mi chiedevo, se era un frate come faceva a essere un mio antenato? Alle mie perplessità la mamma rideva, era un prozio, diceva; ma cos’era un prozio? Non sapeva bene neanche lei quale fosse l’intreccio: purtroppo suo padre era morto quando era ancora piccola e di più non ricordava. Avevo provato a chiedere anche a zia Gina, sua unica sorella di un paio d’anni più grande, e avevo saputo che padre Maurizio aveva svolto il ruolo di precettore dei figli di Bonaparte. Napoleone? No, suo fratello, Luciano.
Di fronte a tante incertezze, la mia curiosità di bambina ebbe breve durata e negli anni quel ritratto divenne per me semplicemente parte dell’arredamento. Gli anni passarono, mi allontanai da casa, mi sposai, ebbi due figli, e la vita mi coinvolse con gioie e affanni senza lasciarmi il tempo di pensare agli antenati. Ma non l’avevo dimenticato, quel vecchio frate, con la sua storia di eroismo, e in suo ricordo avevo chiamato il mio primo figlio proprio Maurizio.
Qualche anno fa, dovetti disfare con dolore la casa dei miei genitori e, tra gli oggetti riposti e impolverati, mi ritrovai tra le mani quel ritratto. Guardandolo, le domande che non avevano avuto risposta tornarono a intrigarmi. Erano rimaste lì, nascoste da qualche parte nella mia mente, e adesso riapparivano prepotenti e chiedevano risposte. Desideravo conoscere un po’ meglio il “prozio”, capire chi era, perché proprio lui da Haynau, cosa l’aveva portato a diventare il precettore dei figli di Luciano Bonaparte, che vita aveva avuto, dove era stato.
I miei ragazzi erano ormai grandi e indipendenti, e io finalmente avevo un po’ di tempo per pensare a me stessa e dedicarmi a quello che più mi piaceva.
Parlai inizialmente del mio progetto a mio marito Roberto, il quale non solo mi appoggiò pienamente ma divenne il vero motore della ricerca, con il suo entusiasmo e le sue iniziative.
Ne parlai ovviamente con i miei cugini, i dieci figli di zia Gina, con i quali ci scambiammo quanto sapevamo e ricordavamo e cominciammo ad avere un’idea un po’ meno nebulosa. Decidemmo inoltre, per ragioni di ordine pratico, che della ricerca ci saremmo occupati noi, Roberto ed io.
Avevamo letto nell’Enciclopedia Bresciana una voce dedicata a padre Maurizio. L’autore dell’Enciclopedia, monsignor Antonio Fappani, illustre storico e profondo conoscitore della storia bresciana, è un buon conoscente di mia cugina, che gli telefonò e ci condusse da lui. Quando seppe che stavamo cercando notizie su padre Maurizio con l’intenzione di stendere una biografia destinata alla nostra famiglia, ne fu entusiasta e ci diede una pubblicazione che aveva curato nel 1965, in occasione del centenario della morte del frate, frutto di ricerche che egli stesso aveva condotto. Ci chiese inoltre caldamente di tenerlo al corrente delle eventuali scoperte che avremmo fatto.
Attraverso il suo scritto, venimmo dunque a sapere con certezza che l’origine di questo ceppo della famiglia Malvestiti era Verolanuova, un comune vicino a Brescia. Antonio Fortunato Malvestiti, poi padre Maurizio, era nato lì. Ci sembrò dunque logico iniziare la ricerca proprio da lì.
Telefonammo al parroco della basilica di San Lorenzo, don Luigi, e gli spiegammo che desideravamo consultare i libri parrocchiali per trovare notizie di padre Maurizio. Egli accolse la nostra richiesta con grande cortesia e ci accordammo su giorno e ora.
A Verolanuova ci attendevano due sorprese: la prima fu che la chiesa si trovava proprio nella piazza dedicata a Maurizio Malvestiti, con una targa su un muro di fianco alla chiesa che ricorda il luogo dove c’era la sua casa natale, di cui però non resta praticamente nulla. La seconda fu entrando nella basilica, dove restammo incantati ad ammirare tele di grande bellezza, tra cui due imponenti e magnifiche del Tiepolo.
Il parroco ci attendeva e ci condusse, da dietro la sacrestia, su su per una lunga scala fino ad arrivare a una stanzetta spoglia e fredda in cui, in grandi armadi di legno, vengono custoditi i libri parrocchiali. Ce n’erano a partire dal 1500! Iniziammo la ricerca. Robi ed io ci dividemmo i libri: io cominciai dalle nascite e lui dai matrimoni. Sapevamo che era nato nel 1778 perciò iniziai da quell’anno. Avevo tra le mani un librone pesantissimo dalle pagine spesse e ingiallite, con le scritte vergate in inchiostro nero dalle mani dei diversi parroci che si erano susseguiti negli anni. Con l’emozione di consultare un oggetto prezioso, sfogliavo le pagine con riverenza e soggezione leggendo le annotazioni: eccolo, trovato, 17 febbraio 1778, Antonio Fortunato figlio di Francesco Malvestito e Maddalena Franchi. Negli anni successivi, fino al 1783 quando la famiglia si era trasferita a Quinzano, ho trovato la nascita di due fratelli, Genovefa e Eustochio. A quel punto ho iniziato a consultare il libro dei morti. Anche questo era un librone grosso e vetusto e la successione delle morti era agghiacciante. Bambini, bambini, bambini, tanti bambini, con accanto a volte la causa della morte: schiacciato da un cavallo, caduto nel fiume e annegato, febbre occulta o, brutalmente e semplicemente, nella maggior parte, morto e sepolto. E lì c’erano anche i piccoli Genovefa e Eustochio: morti e sepolti!
Ci recammo poi a Quinzano, un paese limitrofo, dove dopo il 1783 nacquero Melchiorre, Filomena, Rosaglia e infine, il piccolo di casa, Cornelio, nonno di mio nonno. Anche lì però, con il cuore stretto, nel libro dei morti ho trovato Melchiorre e Rosaglia. Siamo dunque arrivati alla conclusione che dei sette figli nati solo tre erano vissuti. La mortalità infantile era davvero spaventosa. Abbiamo inoltre scoperto che spesso i cognomi seguivano il genere e il numero di chi li portava: ad esempio, nel nostro caso, quando i figli erano più di uno diventavano Malvestiti e non più Malvestito!
Dal libro di Monsignor Fappani avevamo appreso che la vocazione religiosa si era rivelata molto precocemente nel piccolo Antonio Fortunato che, oltre a un’intelligenza straordinaria, aveva una grande curiosità per tutto ciò che lo circondava. Concluse il ginnasio e il liceo nella metà degli anni consueti; prese i voti a 19 anni, anziché a 21, assumendo il nome di padre Maurizio, con una dispensa papale per la giovane età e poco dopo venne chiamato a Roma presso la sede pontificia dove gli venne affidato l’incarico di lettore di filosofia e teologia.
Luciano Bonaparte, fratello di Napoleone, nel 1798 venne eletto nel consiglio dei Cinquecento di cui, l’anno successivo, fu proclamato presidente. Uomo dal carattere forte e ambizioso, grande oratore e abile politico, fu uno degli artefici del colpo di stato del 18 Brumaio che portò al potere come primo console suo fratello Napoleone. Nel 1794, aveva sposato Christine Boyer, dalla quale ebbe due figlie, ma che morì nel 1800. Alcuni anni dopo sposò in seconde nozze Alexandrine de Blechamp. Questo matrimonio però irritò non poco Napoleone, che per suo fratello aveva ben altri progetti matrimoniali finalizzati ad alleanze politiche, e gli ordinò di divorziare. Luciano, profondamente innamorato di Alexandrine, non accettò mai di obbedire alle imposizioni del fratello. I contrasti tra di loro divennero insanabili e perciò, nel 1804, Luciano con la famiglia si trasferì a Roma sotto la protezione papale.
Nel 1806, venne chiesto a padre Maurizio di fare da guida nelle catacombe di San Sebastiano a un giovane e illustre francese, Luciano Bonaparte. Durante quell’incontro, Luciano fu fortemente colpito dall’erudizione e dalla tranquilla serenità del frate, che già allora aveva fama di studioso e uomo retto e nobile. Desideroso di conoscerlo meglio, Luciano lo invitò nella sua residenza romana, la Rufinella, con la richiesta di occuparsi delle lezioni di musica ai suoi figli. Questi incontri gli diedero modo di rafforzare il proposito che andava maturando nella sua mente: il desiderio che i suoi figli crescessero accompagnati nel loro percorso di studio e di vita da una persona di levatura spirituale e intellettuale come il frate conosciuto a San Sebastiano. La sua richiesta, che gli fosse consentito di ospitare in casa sua padre Maurizio quale educatore dei suoi figli, ebbe una risposta cortese ma negativa. Ma Luciano non era uomo da accettare rifiuti! Si rivolse a papa Pio VII che diede il suo assenso, e padre Maurizio entrò nella famiglia di Luciano Bonaparte.
Iniziò così tra i due uomini un rapporto di stima, rispetto, comunione di interessi e profonda amicizia che sarebbe durato quasi quarant’anni, fino alla morte di Luciano.
Nel 1808 Luciano Bonaparte con tutta la famiglia, che nel frattempo cresceva, si trasferì a Canino dove, qualche giorno dopo venne raggiunto da padre Maurizio.
Nell’agosto del 2008, seguendo le orme del nostro frate, decidemmo di trascorrere le vacanze in Toscana con l’intenzione di visitare Canino e la cappella gentilizia con le spoglie di Luciano Bonaparte. E poi chissà, magari avremmo trovato anche qualche traccia di padre Maurizio!
Canino è una bella cittadina immersa nella maremma laziale. Arrivammo nel primo pomeriggio di una caldissima giornata d’agosto, e fummo colpiti dalla distesa di ulivi che la circondava: campi e campi di ulivi a perdita d’occhio. Ci ripromettemmo di assaggiare l’olio della zona prima di ripartire. Ci recammo alla Chiesa Collegiata dei SS. Giovanni e Andrea e, nell’attesa che riaprisse, ci aggirammo nei dintorni e potemmo così vedere la bella fontana farnesiana, il palazzo Farnese, la piccola statua di Luciano Bonaparte e le storiche vie che si dipartono dalla fontana per arrivare a palazzo Farnese. Quando la chiesa aprì ci portammo davanti alla cappella Bonaparte, accanto all’altare. Chiusa da una cancellata, riuscivamo a vedere l’interno solo appoggiati alle sbarre: il monumento funebre di Luciano, di Alexandrine, quello del loro figlio Giuseppe morto piccolissimo e attribuito al Canova, e i cenotafi della prima moglie Christine Boyer e del padre di Luciano, Carlo Bonaparte. Eravamo sconsolati, in paese tutto era immobile nella calura, in chiesa non si vedeva nessuno, non sapevamo a chi chiedere e che cosa, ci sembrava di aver fatto un viaggio inutile. Poi, dalla sagrestia uscì una signora, ci avvicinammo e le chiedemmo dove avremmo potuto avere qualche notizia su Luciano Bonaparte e sulla sua vita trascorsa a Canino. La signora ci diede una pubblicazione, “Canino 2008”, e ci disse che avremmo potuto avere maggiori informazioni presso l’ufficio del turismo che era anche un punto di riferimento della rivista. Ci recammo subito lì, era poco distante, e facemmo le nostre richieste a Sandro, l’addetto alle informazioni, spiegandogli la ragione della nostra visita, e cioè che io ero una discendente di padre Maurizio, precettore dei figli di Luciano e che stavamo ripercorrendo la sua vita per conoscerlo meglio. La sua sorpresa fu indescrivibile! Chiamò immediatamente al telefono il direttore della rivista, Mauro Marroni, che arrivò in un lampo. Era successo che proprio qualche giorno prima era comparso a Canino un ragazzo inglese, discendente di Letizia Cristina sposata Whyse, figlia di Luciano, anch’egli alla ricerca delle tracce della sua antenata. Scoprimmo poi che noi eravamo arrivati a Canino il 20 agosto 2008, esattamente lo stesso giorno del 1808 in cui era arrivato lì padre Maurizio!
Passammo un interessantissimo pomeriggio in compagnia di Mauro Marroni, personaggio straordinario, grande conversatore, appassionato ed esperto cultore della storia di Canino, travolgente nel suo entusiasmo e nella sua vitalità, editore in proprio nella sua tipografia della rivista “Canino 2008”. Da lì è iniziato un rapporto di cordiale amicizia con uno scambio di documenti e informazioni e di collaborazione alla rivista. Da allora, ogni anno torniamo a Canino per qualche giorno di svago e di turismo e siamo diventati affezionati consumatori dell’ottimo olio della zona. Ogni volta scopriamo qualcosa di nuovo che arricchisce le nostre conoscenze: il castello della Badia di Vulci, con il suo museo archeologico etrusco e il bellissimo ponte, la tomba François, il parco naturalistico e archeologico, la casa del conte Valentini che, dopo una “fuitina”, sposò Maria, una delle figlie di Luciano, ora diventata un b&b nel quale abbiamo soggiornato, e l’altro b&b dove abbiamo trascorso qualche giorno, il Casale Bonaparte, immerso tra gli ulivi, che era stato il casino di caccia di Luciano, situato in uno dei luoghi più bui d’Italia, dove l’inquinamento luminoso è quasi inesistente. È davvero un’emozione indicibile sostare tra le mura di case così dense di storia.
Rientrati a Milano riprendemmo le nostre ricerche presso i conventi di Bologna, dove non avevano nulla, di Roma, dove l’archivio dell’Ara Coeli è andato distrutto e sono rimasti solo alcuni documenti che devono ancora essere sistemati ma che nessuno sa a cosa si riferiscono, e di Milano dove, al convento di Sant’Antonio, il bibliotecario padre Abele, ci disse che nella loro biblioteca era custodita una nutrita corrispondenza. E qui trovammo un’infinità di lettere, molte indirizzate e ricevute dai suoi amati allievi, tra cui Carlotta che egli chiama affettuosamente Lolotta e che lo ricambia con altrettanto affetto chiamandolo padre Mimì e raccontandogli della sua vita, alla sorella Filomena, al fratello Cornelio e poi ad Alexandrine, alla quale, in una delle tante missive, racconta con dovizia di particolari drammatici ma anche con leggerezza, la sua missione al Castello.
Abbiamo in seguito potuto consultare a Perugia gli archivi della discendente di una delle figlie di Luciano (che ci ha chiesto di mantenere l’anonimato), dove abbiamo trovato lettere di Stendhal, Hugo, Mme de Staël e altri illustri personaggi dell’epoca che l’hanno conosciuto e ne parlano con stima e simpatia. Poter leggere e toccare lettere originali vergate proprio dalle mani di personalità storiche e letterarie che ho studiato sui libri e di cui ho amato le opere, ma che sentivo lontane e immateriali, le ha rese reali e mi ha dato una commozione indicibile. Sono esistite davvero!
Siamo stati inoltre contattati dallo scrittore Marcello Simonetta (discendente da Cicco Simonetta) che in quel periodo stava scrivendo un libro su Luciano Bonaparte: Il fratello ribelle di Napoleone e cercava informazioni sul nostro frate. Gli abbiamo mandato riproduzioni e documenti e ha voluto citarci tra i ringraziamenti.
A Canino, padre Maurizio partecipò attivamente agli scavi archeologici di Vulci, compilando un primo catalogo illustrato delle opere che venivano via via ritrovate. Con Luciano, a Senigallia, passò notti intere a studiare le stelle con un enorme telescopio che si erano fatti inviare dall’astronomo William Herschel, lo scopritore di Urano. C’è una lunga lettera ad Alexandrine nella quale racconta con ricchezza di particolari la messa in opera del telescopio e i risultati delle osservazioni planetarie.
Dopo la morte di Luciano, nel 1840, torna nella sua Brescia, dove è preceduto dalla sua fama (è socio della Pontificia Accademia di Archeologia di Roma, socio dell’Accademia degli Ardenti di Viterbo, membro onorario dell’Accademia dei Nuovi Lincei di Roma), e subito acquista rinnovato prestigio ospitando nel suo convento i reduci provenienti da Curtatone e Montanara, i garibaldini, i volontari svizzeri; spesso il convento di San Giuseppe viene trasformato in ospedale nel quale vengono ricoverati e assistiti i feriti delle battaglie e i malati delle frequenti epidemie di colera del tempo. È in questo momento della sua vita matura, quando ha già 71 anni, che le maestranze di Brescia gli chiedono di andare a parlamentare con Haynau.
Da tutto il materiale che abbiamo potuto consultare emerge il sorprendente ritratto di una persona di grande umanità, umiltà e coraggio, dall’intelligenza fuori dal comune e dai molteplici interessi che coltivò con costanza e intensamente. Si interessò di archeologia, di musica (scrisse un trattato di melometria dei cantici originali della sacra scrittura), di medicina, di botanica (divenne corrispondente del Bertoloni, autore della “Flora Italica”, e ancora oggi circa 230 piante erbacee raccolte da padre Maurizio sono conservate nel Museo dell’orto botanico a Bologna), di scienze naturali. Frequentò i personaggi più famosi ed influenti del suo tempo. Stendhal, che lo conobbe bene, nella Certosa di Parma, prese spunto dalla sua figura per delineare il personaggio dell’abbé Blanès e da quella di Pietro Bonaparte, il figlio scavezzacollo di Luciano, per il protagonista, Fabrizio Del Dongo.
La documentazione che abbiamo raccolto fino ad ora è talmente vasta che ci vorrebbero diversi volumi per contenerla tutta, e quindi Roberto, che oltre ad avere il pallino della ricerca è anche un esperto informatico, ha creato un sito internet: www.padremauriziodabrescia.it. Così, quella che doveva essere una memoria storica destinata solo alla famiglia è diventata accessibile a tutti. E in effetti, con grande sorpresa, attraverso il sito abbiamo già ricevuto richieste da studiosi che desiderano avere maggiori informazioni. Ma la ricerca continua.
Ci piace pensare che frammenti della sua intelligenza e della sua sconfinata erudizione siano passati ai suoi discendenti attuali. Tra i miei cugini, dieci fratelli, sono presenti molti dei suoi interessi: ci sono due maschi che hanno seguito la vocazione religiosa (uno è stato vicario ispettoriale dei salesiani, vicino al cardinale Martini, fino a quando si è ritirato dedicandosi all’insegnamento e alla missione che ha fondato in Etiopia), l’altro, dopo la laurea in ingegneria, è partito missionario in Paraguay e adesso è considerato uno dei maggiori antropologi a livello mondiale. Degli altri, due sorelle si sono diplomate in pianoforte al Conservatorio, un’altra si è dedicata all’insegnamento di lettere e filosofia; altre due hanno studiato medicina. Un fratello è stato insegnante di scienze e matematica, gli ultimi due hanno svolto attività in settore agrario e in banca. Dei miei ragazzi, il maggiore, dotato di senso pratico e spiccate competenze dirigenziali e organizzative, ama la vita all'aria aperta, ha un grandissimo amore per gli animali e la natura, e alleva i suoi figli insegnando loro il rispetto per ogni essere vivente e per l’ambiente; l’altro, che ha sviluppate capacità analitiche e senso estetico, si perde nello studio e nella realizzazione di complicati programmi web. Tutti animati dall’altruismo e dall’amore cristiano per il prossimo che hanno caratterizzato la vita del nostro frate.
Adesso, il suo ritratto (che abbiamo scoperto essere la riproduzione di un dipinto dell’Inganni, custodito nei musei civici di Brescia), nella sua cornicina dorata un po’ fané, è nel corridoio di casa mia e quando gli passo davanti e mi fermo a guardarlo, mi sembra quasi che accenni un sorriso. Strani scherzi gioca l’immaginazione!


Riferimenti biografici

- Fappani A. (1965). P. Maurizio Malvestiti nel centenario della morte. Brescia, Edizioni del Francescanum.
Sito Internet: www.padremauriziodabrescia.it


Note:

1.   Articolo apparso sulla rivista Gruppi, XV,. 1, 2014, FrancoAngeli Editore.
2.   Traduttrice, segretaria di redazione di Gruppi. Assistente di redazione dell’Enciclopedia Generale Mondadori.
maggio 2016
master.