Brescia Museo Diocesano

3 - 27 ottobre 2015

Atti del Convegno

Padre Maurizio Malvestiti: una vita nell'ombra

Luciano Faverzani1

Fra i personaggi del Risorgimento bresciano, ed in particolare fra i protagonisti delle dieci giornate che più di altri sono entrati a far parte dell’immaginario popolare, spiccano sicuramente le figure di Tito Speri, del generale Haynau e di padre Maurizio Malvestiti. Se però dei primi due si conoscono particolari della vita che vanno al di là degli eventi legati all’insurrezione bresciana del 1849, di padre Malvestiti si sa solamente che era un frate francescano e che ebbe il triste compito di porre nelle mani del generale Haynau, la “Iena di Brescia”, la resa della città.
Dell’umile figura del frate francescano ben poco si conosce. Questo convegno e la mostra annessa, vogliono mettere in risalto e far conoscere a un più vasto pubblico la figura di un uomo che fra mille tribolazioni visse in un’epoca che fu contraddistinta da avvenimenti politici e sociali che cambiarono il destino di molti uomini, anzi direi di intere generazioni. Un’epoca, fra la fine del XVIII secolo e la seconda metà del XIX secolo, che vide l’Europa e la penisola italiana attraversata dalla Rivoluzione francese, dall’età napoleonica, dalla Restaurazione voluta dal Congresso di Vienna e, per quel che riguarda la penisola italiana, dai venti rivoluzionari che fra il 1815 e il 1861 portarono all’Unità nazionale. Intento di questo Convegno è quello di porre in risalto lo spessore umano, i rapporti interpersonali di Malvestiti e la vasta cultura che egli seppe formarsi e che lo portò ad intrattenere rapporti con gli ambienti culturali di mezza Europa.
Padre Maurizio Malvestiti al secolo Antonio Fortunato, nacque a Verolanuova il 17 febbraio 1778, primogenito di Francesco Malvestiti e di Maria Maddalena Franchi, e venne battezzato il giorno successivo. Dal matrimonio nacquero altri due figli: Filomena e Cornelio.
Ben presto la vivacità, la fantasia e l’intelligenza di Antonio Fortunato si palesarono all’attenzione dei genitori e giunti all’età scolastica consapevoli della loro scarsità di risorse economiche, il padre era un umile sarto, e dell’impossibilità di dare ai figli una formazione scolastica, i coniugi Malvestiti si trasferirono con tutta la famiglia nel paese di Quinzano d’Oglio dove i tre fratelli iniziarono a frequentare gratuitamente le lezioni elementari di don Luigi Piozzi e di don Pietro Pederzini.
Il giovane Antonio Fortunato si distinse subito per la vivacità intellettuale e per la curiosità che lo spingeva ad avvicinarsi ad ogni campo del sapere cosa che lo fece ben presto amare dai propri insegnanti. Due in special modo furono gli studi nei quali si distinse particolarmente: la musica e la natura. Così scrive di lui Rosa Paini Gavazzeni: “Nella musica egli ricercherà inconsciamente l’armonia che regge tutto il creato e insieme quel legame che – quale via stellare – congiunge terra e cielo sopra le miserie e i dolori inevitabili; nella natura egli ritroverà francescanamente l’impronta divina che s’immilla e palpita pur nella più umile delle creature” (1950, p.8).
Progredendo negli studi, ben presto la scuola di Quinzano si rivelò insufficiente per Antonio Fortunato e ancora una volta la famiglia, al fine di aiutarlo, prese la decisione di trasferirsi a Brescia. Presero alloggio in Rua Confettora nella parrocchia di San Faustino. Antonio Fortunato iniziò a frequentare il Ginnasio cittadino e in soli quattro anni conseguì il diploma. Nella scelta universitaria predilesse la chirurgia. Riguardo a questa scelta la Paini scrive: “Egli la sentiva come una missione e un’arte insieme. Nella creatura umana aveva visto l’impronta divina: nell’armonia dei tratti del viso, nell’elastica robustezza delle membra, nel vivo splendore degli occhi. Pensava che le malattie, oltre a recar dolore, offuscan questa bellezza ed a volte la distruggono. La chirurgia era l’arte con la quale egli avrebbe ridato armonia alle membra colpite e deformate e insieme il lenimento avrebbe sopito tanti dolori” (ibidem, p. 10).
Ben presto però questa incrollabile certezza sul suo futuro mutò completamente e comunicò ai genitori ed ai maestri, sgomenti e stupiti, la sua decisione di seguire il richiamo dell’anima e farsi frate minore. Il noviziato lo compì nel convento di Santa Maria delle Grazie a Quinzano d’Oglio. Il 29 settembre 1794 Fortunato Antonio Malvestiti iniziava, assumendo il nuovo nome di fra’ Maurizio, la sua vita religiosa. Trascorso l’anno di noviziato, sul finire del 1795, a causa della legge del 9 settembre 1768 che proibiva ai chierici che non avevano ancora compiuto i ventuno anni di età di fare la professione solenne, egli fu costretto a recarsi a Brescia, nel convento di San Giuseppe, dove risiedeva il Provinciale, per proseguire gli studi in attesa del raggiungimento dell’età prescritta.
Sul suo cammino verso la vita religiosa consacrata si frapposero eventi politici e militari quali la discesa in Italia delle truppe rivoluzionarie francesi al comando del generale Napoleone Bonaparte e dello scoppio, nel marzo del 1797, della rivoluzione bresciana che pose fine alla dominazione della Serenissima Repubblica di Venezia sul territorio bresciano.
La politica anti religiosa portata avanti dalle autorità francesi e successivamente dai governi rivoluzionari che man mano andavano sostituendosi ai legittimi governi all’interno dei territori occupati dalle truppe francesi, portarono alla soppressione degli ordini religiosi e all’incameramento dei beni ecclesiastici; numerosi furono i conventi soppressi, fra quelli che sopravvissero vi fu il convento di San Giuseppe i cui frati continuarono almeno sino al 1810 a svolgere la propria missione a favore dei meno abbienti, negli ospedali, nelle carceri e fra tutti coloro che vivevano privazioni di ogni genere.
Sul finire del 1797 un nuovo ostacolo di frappose tra fra’ Maurizio e la sua professione solenne: un decreto del Governo della Repubblica Cisalpina, che aveva inglobato tutti i territori fra il Ticino e il Mincio e le Repubbliche giacobine dell’Emilia, proibiva i voti religiosi a coloro che non avevano ancora compiuto i ventuno anni, obbligandoli a far ritorno in seno alle proprie famiglie sino al raggiungimento dell’età prescritta.
Poco più che diciannovenne fra’ Maurizio fu costretto a lasciare il convento di San Giuseppe e far ritorno in famiglia con grande gioia dei genitori e dei fratelli. Fra’ Maurizio non si scoraggiò e regolarmente si recava in visita al suo convento per trovare conforto e avere consigli da parte dei pochi confratelli rimasti. Desideroso di far ritorno fra le mura del convento, il giovane Maurizio, avendo ricevuto notizia che nel convento di Santo Spirito di Ferrara le leggi del 1797 non erano giunte, fece richiesta di essere accolto fra di loro. Ricevutane risposta affermativa fra’ Maurizio, in compagnia del padre lasciò la beneamata Brescia e raggiunse Ferrara dove poté riprendere gli studi. Dopo pochi mesi, nella primavera del 1798 a soli vent’anni, con una dispensa speciale, fra’ Maurizio poté fare la propria professione solenne. Nel corso dei successivi tre anni, nel convento di Ferrara, fra’ Maurizio approfondì gli studi teologici che completarono il percorso già avviato a Brescia in quelli filosofici. A compimento degli studi fra’ Maurizio sostenne nel convento di San Francesco della Vigna a Venezia una “difesa pubblica” avente per tema una tesi apologetica sulla potestà giuridica della Chiesa. La sua dissertazione fu molto apprezzata da tutti i presenti che elogiarono la preparazione del giovane francescano.
Nel dicembre del 1800 fra’ Maurizio ricevette l’ordinazione sacerdotale celebrando la sua prima messa nella notte di Natale nella chiesa di Santo Spirito a Ferrara.
A questo punto, desiderio di fra’ Maurizio era quello di poter tornare a Brescia fra le tanto care mura del chiostro di San Giuseppe; ancora una volta però il destino gli fu avverso e giunto a Verona ricevette l’ordine dai suoi superiori di portarsi a Roma dove fu accolto nel convento di Santa Maria in Aracoeli.
Ebbe così inizio il periodo forse più intenso della sua vita che fu contrassegnato dalla frequentazione con Luciano Bonaparte, fratello dell’imperatore Napoleone.
A Roma fra’ Maurizio fu incaricato dell’insegnamento di filosofia e poco dopo divenne lettore generale di teologia. La sua permanenza a Roma fu caratterizzata non solo dalla vita religiosa nel convento in Aracoeli, ma anche dagli studi e dalle continue visite alle antichità della città romana ed alle testimonianze artistiche dei secoli passati. Quotidianamente si recava alle catacombe di San Sebastiano per celebrare la messa e le passeggiate nel silenzio della via Appia rappresentarono uno dei più bei ricordi della sua permanenza a Roma.
Sulla data dell’incontro con Luciano Bonaparte vi sono testimonianze diverse, la più probabile lo pone nel 1806. Quasi sicuramente i due ebbero modo di conoscersi alle catacombe di San Sebastiano dove il principe si era recato e giunto sul luogo chiese a fra’ Maurizio, senza conoscerlo, di accompagnarlo nella visita.
Luciano Bonaparte restò particolarmente colpito dalla cultura, dalla scienza e dall’umiltà di quel giovane frate, del quale non conosceva nemmeno il nome. Profondamente incuriosito da fra’ Maurizio, Luciano Bonaparte, informatosi sul suo nome presso i francescani di Roma che lo descrissero come uomo di studio e di animo retto e nobile, invitò il frate alla Ruffinella e così ebbe inizio quel lungo sodalizio fra i due uomini che vedrà il nostro fra’ Maurizio seguire e condividere con Luciano Bonaparte gli anni intensi e difficili che videro il fratello Imperatore dominare buona parte dell’Europa. Sulla figura e i rapporti fra Luciano Bonaparte e fra’ Maurizio rimando alla relazione di Mauro Marroni.
Qui vorrei soffermarmi sullo stretto rapporto che si andò stringendo tra fra’ Maurizio e i figli di Luciano Bonaparte; un rapporto che andava al di là della relazione precettore-studenti e che nel corso degli anni andò trasformandosi in stretta amicizia testimoniata dal lungo scambio epistolare che ancora negli anni immediatamente precedenti la morte di fra’ Maurizio vi furono.
I rapporti tra fra’ Maurizio e la famiglia di Luciano Bonaparte si fecero ancora più stretti dopo la fine dell’Impero napoleonico; quando, dopo aver fatto ritorno a Roma e ripresa la sua vita fra le mura del convento di Aracoeli, fra’ Maurizio continuò a frequentare la casa Bonaparte in una Roma che aveva ormai voltato le spalle al principe di Canino, non più il fratello dell’Imperatore Napoleone, ma un uomo che dopo le tempestose vicende che lo videro contrapporsi al fratello imperatore cercava la quiete nei suoi studi e nella famiglia.
Con la morte di Luciano Bonaparte avvenuta il 29 giugno 1840, fra’ Maurizio perse un amico fraterno con il quale aveva vissuto più di trent’anni e nonostante le insistenze della famiglia preferì far ritorno definitivamente tra le mura del convento.
Durante gli ultimi anni nei quali fra’ Maurizio frequentò la famiglia Bonaparte, egli fu nominato, il 18 febbraio 1837, Cronologo ufficiale dell’Ordine francescano; incarico di grande prestigio che lo portò a dividere la sua giornata fra casa Bonaparte e il convento dell’Aracoeli. Furono anni questi di intenso studio che lo portarono non solo a contribuire alla storia dell’ordine francescano ma anche ad approfondire i suoi studi musicali e sulle lingue orientali; specialmente sulla lingua e musica ebraica, ma di questo ci parlerà la dott.ssa Barezzani.
Superati ormai i settant’anni fra’ Maurizio sentiva sempre più il desiderio di far ritorno a Brescia ed in particolar modo nel convento di San Giuseppe che aveva lasciato poco più che adolescente. Il convento era stato soppresso in conseguenza del decreto napoleonico del 25 aprile 1810 con il quale si ordinava la chiusura dei conventi, la soppressione degli Ordini religiosi e il ritorno alle proprie diocesi dei religiosi stessi, ai quali era vietato portare l’abito dell’ordine di appartenenza.
Nell’agosto del 1845 fece ritorno a Verolanuova in visita ai parenti e si avvicinava il tempo che avrebbe permesso a fra’ Maurizio di esaudire il proprio desiderio di far ritorno a Brescia.
Dopo lunghe vicende il 30 gennaio 1846, l’Imperatore d’Austria firmò una Sovrana Risoluzione con la quale autorizzava l’erezione in Brescia di un convento di frati minori; il 15 giugno 1847 San Giuseppe fu ufficialmente consegnato ai francescani e il 28 giugno fu redatto l’atto di consegna del convento a padre Antonio Bravin, provinciale dell’ordine francescano.
Fu proprio padre Bravin a richiedere la presenza di fra’ Maurizio a Brescia poiché era necessario l’aiuto di “anime generose e di intelletti pronti” per il “ripristino morale dei conventi ... dopo anni di laicato” di quei religiosi che ne erano stati allontanati e soprattutto di aiuto nella formazione dei novizi che dovevano essere avviati alla vita conventuale.
Nella sua biografia di fra’ Maurizio la Paini Gavazzeni scrisse: “Alla fine del ‘46 il Malvestiti era a Brescia; egli vi tornava con gioia a ritrovare i ricordi della fanciullezza e dell’adolescenza mai sopiti nel cuore. Agli occhi del vecchio frate, pur tanto giovane in ogni suo pensiero e in ogni suo atto, tutto riappariva nella veste di un tempo ed egli appariva scordare i dolori, le lotte, le ansie vissute in tutti quegli anni di lontananza. Tornava alla città così amata, circondato da una fama di profondo sapere e di grande bontà. Si parlava della sua lunga amicizia con Luciano e delle sue vicende assieme al principe; era una figura nota e viva, così che non solo i frati, ma anche i cittadini lo accolsero con gioia e stimarono una fortuna averlo con loro” (ibidem, p. 73).
Nel settembre 1847 fra’ Maurizio fu nominato Ministro Provinciale, nonostante avesse espressamente dichiarato di non voler ricevere alcun incarico speciale. La nomina non lo allontanò da Brescia e dal convento di San Giuseppe da dove dirigeva i conventi di Venezia, Barbarano, Verona, La Motta, Gemona , Feltre e Milano.
Se il ritorno a Brescia rappresentò per fra’ Maurizio un ritorno fra mura amiche dove poter trascorrere gli ultimi anni della sua vita nella pace del chiostro nella contemplazione di Dio, le vicende politiche di quegli anni legate agli eventi della prima guerra d’Indipendenza lo portarono suo malgrado ad essere nuovamente protagonista di eventi storici di primaria importanza per la storia nazionale, durante le tragiche dieci giornate dell’insurrezione di Brescia.
Il ruolo che i frati di San Giuseppe svolsero durante il biennio 1848/49 fu principalmente rivolto all’assistenza ai feriti e a tutte quelle persone bisognose che si trovarono loro malgrado a fare i conti con la guerra e soprattutto durante la decade bresciana con le rappresaglie degli austriaci. Non dobbiamo però qui dimenticare la grande partecipazione del clero agli eventi risorgimentali. Fu specialmente dopo la nomina a pontefice del cardinal Mastai Ferretti con il nome di Pio IX e l’avvio della sua politica riformatrice che il clero italiano iniziò a partecipare agli eventi rivoluzionari e militari che caratterizzarono la vita della penisola italiana fra il 1848 e il 1870.
Nella sua prima fase, la prima guerra d’Indipendenza si caratterizzò per uno schieramento che vide al fianco del Piemonte sabaudo reparti regolari toscani, napoletani, pontifici e reparti di volontari costituiti da uomini provenienti da ogni parte d’Italia, che furono inquadrati in battaglioni volontari che si distinsero sui campi di battaglia della Lombardia e del Veneto. Questi battaglioni presero il nome dei rispettivi comandanti, come per esempio: Manara, Longhena, Arcioni, Thanberg ed altri.
La guerra del 1848 possiamo, usando le parole di Piero Pieri (1962, pp. 176-447). definirla “La guerra delle occasioni perdute” sia per l’esercito piemontese, a causa dell’impreparazione degli alti comandi, sia per quello austriaco per il quale la troppa cautela degli alti comandi in alcuni casi rallentò la vittoria.
La prima guerra d’Indipendenza, pur nella deficienza degli alti comandi piemontesi, servì per far conoscere il valore e l’abnegazione delle truppe sarde al proprio sovrano e la dedizione per la causa nazionale degli italiani che a migliaia si erano sacrificati sui campi di battaglia del Veneto e della Lombardia.
Durante le Dieci giornate di Brescia numerosi furono i sacerdoti che non solo prestarono la loro assistenza ai feriti ma si fecero anche capibanda e organizzatori della resistenza agli austriaci (Cistellini, 1949, pp. 198-273). Fra i tanti vorrei qui ricordare: don Pietro Boifava, l’abate Bartolomeo De Ruschi, don Giovanni Bianchi.
Fu durante la prima fase della prima guerra d’Indipendenza che i frati di San Giuseppe si distinsero per la loro opera assistenziale ricoverando presso il convento e la chiesa le truppe dell’Anfossi, le avanguardie di Garibaldi e i superstiti di quel battaglione di giovani studenti toscani che sacrificarono la loro vita a Curtatone Montanara. Innumerevoli furono le lettere di ringraziamento indirizzate ai frati. Dopo la sconfitta di Custoza e la fine dell’esperienza insurrezionale del Governo Provvisorio che resse le sorti di Brescia sotto la guida del conte Luigi Lechi, gli austriaci facendo ritorno in città resero ancor più dura la repressione non solo contro gli insorti armati ma, molto più in generale, contro tutta la popolazione cittadina che agli occhi degli austriaci si era resa complice dei rivoluzionari.
La scoperta poi, sul finire del 1848, di magazzini con attrezzature e materiale militare non solo aveva portato all’arresto di numerosi assessori cittadini ma anche all’emanazione, il 5 gennaio 1849, di un proclama a firma del Feldmaresciallo Haynau con il quale la città veniva multata di 520.000 lire austriache da pagarsi entro il successivo 24 febbraio.
Nel successivo mese di marzo il Governo di Torino ruppe l’armistizio firmato l’anno precedente e il 20 marzo 1849 ripresero le ostilità contro l’Austria. Re Carlo Alberto pose il suo quartier generale ad Alessandria e alla ricostituita Divisione Lombarda fu affidato il compito di presidiare il confine davanti a Pavia. Inspiegabilmente proprio la Divisione più debole fu schierata nella posizione più delicata; a peggiorare la situazione contribuì anche l’atteggiamento del generale Gerolamo Ramorino che, posto al comando della Divisione Lombarda, andò contro gli ordini ricevuti causando quella falla che portò pochi giorni dopo alla sconfitta di Novara Pieri, op. ct., pp. 264-313).
Per meglio capire lo spirito ed il sentimento che spinse tanti giovani a sacrificare la propria vita per quegli ideali, penso basti citare una frase di una lettera di Emilio Dandolo, nella quale ebbe a scrivere: “Desidero e spero di spendere la mia vita al servizio della Patria e di morire per lei, a cui ho consacrato da vari anni tutti i miei affetti e la mia esistenza”.
Fu proprio il dualismo fra le truppe regolari piemontesi e i volontari Lombardi e l’opposizione degli alti comandi di affidarsi alle capacità militari di Garibaldi, a portare alla sconfitta di Novara, il 23 marzo, con la conseguente abdicazione di Carlo Alberto e la firma dell’armistizio nelle mani del vecchio Maresciallo Radetzky da parte del giovane Vittorio Emanuele II.
All’indomani della sconfitta di Novara aveva inizio l’insurrezione della città di Brescia che, fra il 23 marzo e il 1 aprile 1849, liberò la città dall’occupazione austriaca resistendo alle soverchianti armate imperiali.
Il 1° di aprile dopo dieci lunghi giorni di combattimenti e di sacrifici la Municipalità, dopo la fuga dei duumviri Cesare Contratti e Carlo Cassola, decise di inviare qualcuno in Castello a porre la resa della città nelle mani di Haynau.
La scelta cadde sul nome di fra’ Maurizio Malvestiti, scelta che trovò tutti concordi. In una lettera inviata alla principessa Alessandrina Bonaparte, vedova di Luciano, nella quale la relazionava sulla sua missione presso Haynau, fra’ Maurizio scriveva: “Io aveva appena terminato – al rumor del cannone – la lunga Messa delle Palme, quando il grido della Patria in pericolo penetrò fino al fondo del mio sacro asilo”. Un inviato della Municipalità si recò in San Giuseppe invitando fra’ Maurizio a recarsi in Loggia; per non andare solo egli chiese di essere accompagnato dal confratello fra’ Ilario da Milano.
La Municipalità stava preparando il testo del messaggio di resa da consegnare ad Haynau; fra’ Maurizio nella lettera sopra ricordata scriveva: “Era evidente che il Municipio faceva tutti gli sforzi per salvare la città e che i capi e le bande armate volevano anzitutto salvare se stessi. Bisognava dunque lasciare loro il tempo di ritirarsi”. Chiamato nuovamente in Loggia il Sangervasio consegnò nelle mani di fra’ Maurizio il messaggio da portare in castello. In questa triste missione Malvestiti fu accompagnato da fra’ Ilario da Milano e dal signor Pietro Marchesini al quale era stato affidato il compito di portare la bandiera bianca.
Con queste parole fra’ Maurizio ricordava quei tragici momenti: “Eccoci dunque su per la china del Castello, tra due file di case abbruciate e brucianti. I travi dei soffitti cadevano al nostro fianco come tizzoni fumanti. L’interno delle case era ingombrato di carboni ardenti e la via gremita di cadaveri ammonticchiati. Tuttavia non si vedeva che qualche traccia di sangue qui e là perché non si era avuto un combattimento ad arma bianca. Erano tutti caduti da una parte e dall’altra come passerotti colpiti dal piombo uccisore. Io vedo la casa e lo studio del pittore Théosa, mio amico, bruciati; la casa del rettore delle Consolazioni, mio amico, bruciata. Continuando a salire il dosso coperto della collina … ho potuto contemplare la mia povera Patria in fiamme come Troia. Il fumo di ogni Casa che era data alle fiamme, in quel momento, saliva dritto al cielo come il fumo d’un incensiere immobile. Se il vento tanto o quanto vi avesse soffiato, mio Dio! la città intera sarebbe stata bruciata, non si sarebbe salvata una sola casa”.
Giunto in castello e consegnata la missiva ad Haynau, il maresciallo impose che il Municipio innalzasse bandiera bianca su tutte le torri della città, inoltre ordinava la liberazione di tutti i prigionieri austriaci. Consegnata la risposta al Sangervasio, fu predisposta una nuova missiva che venne consegnata al Feldmaresciallo. Terminata la missione fra’ Maurizio fece ritorno in città assistendo al triste spettacolo della fucilazione di due giovani insorti.
Tre furono le clausole dettate dall’Haynau: l’apertura delle porte alle truppe austriache; la proibizione di portare armi, pena la fucilazione; terzo la salvaguardia dei cittadini inermi. Purtroppo per la città ed i suoi abitanti proprio questa terza clausola non fu rispettata, la furia delle truppe croate travolse gli inermi, le donne e i bambini; la città fu barbaramente saccheggiata e bruciata. Malvestiti si prodigò per salvare la maggior quantità di persone, si recò nuovamente in castello per ben due volte al fine di ottenere la liberazione di quaranta cittadini condannati a morte. Tra i fucilati vi fu anche un confratello di fra’ Maurizio, il settantacinquenne fra’ Arcangelo da Brescia.
A tutto questo si aggiunse una gravosa multa di 6 milioni di Lire austriache che dovevano essere pagati dalla provincia, mentre la città dovette pagare una multa consistente nel risarcimento dei danni alle famiglie dei soldati austriaci caduti durante l’insurrezione e delle spese sostenute dal governo austriaco per domare la rivolta.
Ancora una volta fu chiesto aiuto a Malvestiti che con due delegati della Municipalità si recò a Milano presso il Feldmaresciallo Radetzky con la supplica che la multa fosse cancellata. L’Odorici, nelle sue Storie bresciane compendiate, ricorda che la multa non fu cancellata ma che venne sicuramente diminuita.
Fra’ Maurizio, dopo questi tragici eventi durante i quali con grande spirito di servizio si era speso in aiuto dei suoi concittadini e della sua “Patria”, cercò nuovamente di far ritorno alla tranquillità del chiostro e l’occasione propizia fu la nomina il 26 settembre 1850 del nuovo Provinciale, che gli avrebbe permesso di non doversi più occupare del gravoso incarico. Poco dopo però gli giunse direttamente da Roma la nomina a Definitore Generale dell’Ordine, incarico che gli veniva affidato direttamente per volontà di papa Pio IX, carica che lo poneva in un ruolo di comando trovandosi così sopra il Provinciale.
Fra il 1850 e il 1853 numerosi furono i suoi viaggi a Milano al fine di districare le questioni d’ordine disciplinare che interessavano il convento francescano di Sant’Angelo a Milano.
Il 12 luglio 1853 il Superiore generale dell’Ordine, padre Venanzio da Celano, nominò fra’ Maurizio Commissario di Terra Santa per il Lombardo-Veneto. La sua nomina fu notevolmente ostacolata a causa del fatto che essendo la sede a Venezia non era visto di buon occhio da parte dei Confratelli veneziani la nomina a Commissario di un religioso del convento di Brescia. Le manovre ebbero successo e il Principe Arcivescovo di Vienna propose al Feldmaresciallo Radetzky la nomina a Commissario di fra’ Felice Castellani, parroco del convento di San Francesco della Vigna in Venezia, proposta accettata senza alcun problema dal Feldmaresciallo. Fra’ Maurizio non si arrese e inoltrò domanda al Ministro del Culto nella quale chiedeva la nomina a Commissario di Terra Santa per la Lombardia. La richiesta fu accolta e con questo si creava una separazione definitiva fra le due Province. L’ultimo incarico politico che vide fra’ Maurizio lasciare nuovamente la quiete di San Giuseppe si svolse nel 1856. In quell’anno infatti per vicende politiche che interessarono il medio oriente e la custodia dei Luoghi Santi, affidata da secoli all’Ordine francescano, visse momenti di grande difficoltà segnati anche da massacri che colpirono le comunità francescane presenti in Palestina ed in Siria. Per garantire la tranquillità, la custodia francescana avrebbe dovuto essere protetta da una potenza cattolica, la scelta cadde sulla Francia di Napoleone III e per ordine di Pio IX fra’ Maurizio fu incaricato di guidare l’ambasceria alla corte dell’Imperatore. Il 5 giugno 1856 Malvestiti lasciò Roma e si imbarcò per la Francia. Restò a Parigi per tre mesi durante i quali fra’ Maurizio svolse un lavoro intenso; furono però anche mesi durante i quali poté fare un salto nel passato recandosi in visita ai famigliari di Luciano Bonaparte e fra’ Maurizio tornò per alcuni giorni ad essere il buon precettore dei figli del principe di Canino. La sua missione si concluse con un grande successo, la Francia garantì la protezione dei Luoghi Santi di Palestina.
Il 18 settembre Malvestiti lasciò Parigi e fece ritorno a Brescia dove riprese i suoi due uffici di Definitore Generale dell’Ordine e di Giudice Prosinodale della Diocesi di Brescia.
Ma eccoci giungere alle fatidiche giornate del 1859. Ancora una volta il territorio bresciano è teatro delle più importanti battaglie che dovevano da lì a poco coronare il sogno di intere generazioni che sacrificarono la loro vita per l’unità d’Italia. Brescia fu così ancora una volta chiamata a soccorrere le migliaia di feriti che giungevano dal fronte e ancora una volta il convento di San Giuseppe divenne uno dei tanti ospedali della città; con lettera del 13 agosto 1859 l’amministrazione dell’Ospedale militare di San Giuseppe chiese ai frati di assumersi il compito di dirigere l’infermeria.
Vinta la guerra, nel giugno 1859 l’imperatore Napoleone III fece il suo ingresso a Brescia; durante quella giornata chiese di vedere fra’ Maurizio e di poter averlo ospite in casa Fenaroli. Fra’ Maurizio accolse l’invito dell’imperatore ma la sua fu solo cortesia.
Con l’Unità nazionale nuove tempeste si abbatterono sull’ordine francescano con l’emanazione di leggi che portarono alla chiusura di numerosi conventi. Fra’ Maurizio lottò sino allo stremo delle sue forze in favore del convento di San Giuseppe in Brescia e di Sant’Angelo in Milano. L’ultima sua lettera con la quale metteva tutta la sua esperienza a disposizione del Ministro Generale dell’Ordine, è datata 18 febbraio 1865.
Il successivo 25 marzo fra’ Maurizio moriva nella sua cella nel tanto amato convento di San Giuseppe. A lui che tanto si era speso per amore della sua città e dei suoi abitanti, il Comune negò i funerali a sue spese; a questa mancanza fece da contraltare la commossa riconoscenza del popolo che organizzò una solenne funzione nella chiesa della Madonna del Lino in piazza delle Erbe in suo onore; nel trigesimo della morte il 26 aprile una grande funzione si tenne nella chiesa di San Giuseppe celebrata da fra’ Grisostomo da Bergamo che ricordò degnamente la figura di fra’ Maurizio Malvestiti.


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Note:

1.   Storico, Presidente del Comitato di Brescia dell'Isituto per la Storia del Risorgimento Italiano e Socio e Amministratore dell'Ateneo di Brescia
maggio 2016
master.