Brescia Museo Diocesano

3 - 27 ottobre 2015

Atti del Convegno

Padre Maurizio, l’altro fratello di Luciano Bonaparte

Mauro Marroni1

Nell’autunno del 1806 Luciano Bonaparte, fratello meno conosciuto di Napoleone, stava pensando alle ricerche archeologiche appena iniziate nel giardino della sua Villa Tuscolana a Frascati mentre ammirava il complesso monumentale delle Catacombe di San Sebastiano. Lì, sulla via Appia Antica, per motivi più religiosi, quel giorno era in visita anche il giovane francescano padre Maurizio Malvestiti, all’epoca Lettore presso il Convento di Araceli al Campidoglio.
Luciano, che aveva allora 31 anni, e Maurizio, ventottenne, quel giorno, invece di nuovi reperti archeologici, scoprono un’immediata quanto totale comunità di intenti. Per di più Luciano è alla ricerca di un istitutore per i quattro figli, è in buonissimi rapporti con il Papa Pio VII e, consenziente padre Maurizio, non incontra difficoltà nell’ottenere il consenso a ché il Minore Francescano possa trasferirsi a vivere presso la sua già numerosa famiglia.
Inizia così una convivenza che durerà ininterrottamente per 34 anni, fino alla morte di Luciano.
Quali erano i motivi che avevano condotto a Roma il fratello dell’Imperatore dei francesi?
Luciano Bonaparte nato ad Aiaccio il 21 maggio 1775, terzogenito dopo Giuseppe e Napoleone, di Carlo Buonaparte e Letizia Ramolino, sulle orme affrettate del fratello, ad appena 18 anni diventa presidente del circolo giacobino di Saint Maximin in Provenza, a 19 si sposa con Christine Boyer che l’anno successivo gli dà la prima figlia; nel 1798, a 23 anni, viene eletto deputato presso il Consiglio dei Cinquecento assumendone, l’anno successivo, la carica di Presidente pro-tempore.
Con Luciano Presidente si arrivò al fatidico 18 Brumaio dell’anno VIII (9 novembre del 1799), giorno prescelto per il tentativo concordato di cambiamento costituzionale e che invece si trasformò nel colpo di Stato che portò al potere Napoleone. Con il contributo determinante di Luciano che, in virtù della carica ricoperta, riuscì a sventare il tentativo di porre il fratello “hors la loi”, arringò la guardia schierata nei giardini antistanti l’aula di Saint Cloud e procedette alla nomina del Primo Console.
Per parte sua Luciano andò a ricoprire prima l’incarico di Ministro dell’Interno e quindi quello di Ambasciatore in Spagna (dove, negoziando la pace con il Portogallo, ottenne i favolosi regali di Carlo IV che gli consentirono in seguito il dorato esilio).
Rimaneva però un grande problema insoluto: Luciano il 18 Brumaio aveva maturato un credito verso il fratello e questo, per l’Imperatore, era imperdonabile. Nello stesso tempo, agli occhi del fratello minore, Napoleone anziché rafforzare la Repubblica l’aveva trasformata in un nuovo regime monarchico. Illuminante a tale proposito la lettera che l’amico fraterno, il generale Gouvion Saint-Cyr scrive a Luciano: “Che avete fatto Luciano! O piuttosto, cosa abbiamo lasciato fare? ... Lui vincerà sicuramente e noi vinceremo con lui. Ma dove ci porterà la gloria militare? … alla perdita delle nostre libertà politiche e forse individuali conquistate a così caro prezzo!”.
Le premesse contengono tutti i motivi che, mascherati sotto la forma dell’assurda pretesa di Napoleone di annullare il matrimonio di Luciano con la seconda moglie Alexandrine, porteranno alla rottura completa dei rapporti tra i due e quindi al 31 marzo del 1804, giorno della partenza di Luciano da Parigi per Roma.
Torniamo quindi a quel tiepido giorno di un’ottobrata romana quando padre Maurizio diventò istitutore, collaboratore, consigliere, assistente spirituale di una comunità che, per numero dei suoi componenti, doveva somigliare più ad una parrocchia che ad un nucleo familiare. Già, perché tra i figli (che, nel tempo, diventeranno dodici) e gli stretti collaboratori che seguirono il Senatore nel suo esilio (tra cui il pittore Charles de Châtillon, il dottor Pierre De France, il cognato André Boyer, ecc.), erano quaranta le persone che in modo stabile (domestici, inservienti, ecc.) abitavano la casa di Luciano (e che facessero parte del nucleo ristretto è comprovato dalla circostanza per la quale tutti partirono da Civitavecchia quando, nel 1810, Luciano decise di intraprendere il viaggio per gli Stati Uniti e furono invece tutti presi prigionieri dagli inglesi); oltre questi c’erano naturalmente i lavoratori fissi e stagionali che servivano le ville di Roma, Frascati, Senigallia, Canino, Musignano e gli ottomila ettari di terreno che lo circondava.
Abbiamo così, in certo qual modo, la giustificazione per un impegno totalmente assorbente del francescano in casa Bonaparte ma intendiamoci: qui stiamo parlando di due privilegiati che, in tempi grami, potevano permettersi di assecondare senza problemi le rispettive aspirazioni. Che erano: per Maurizio gli impegnativi studi delle lingue antiche, la musica, la botanica, la medicina; oltre l’insegnamento di materie letterarie e scientifiche; per Luciano le sue famose collezioni d’arte prima e quindi il teatro, la poesia, la politica, la storia e poi l’astronomia e l’archeologia.
I due hanno vissuto in simbiosi gli anni dell’esilio e della prigionia, l’avventura dell’interrotto viaggio verso l’America, e quella del provvisorio ritorno a Parigi durante i Cento Giorni, il duro ritorno alla realtà e quindi la sottomissione agli invadenti controlli dello Stato della Chiesa, i giorni delle ricerche astronomiche di Senigallia e quelli esaltanti della scoperta dell’immensa necropoli di Vulci.
Personalmente, dopo essermi calato nei panni di Luciano ed averne seguito le orme alla ricerca di tutti i luoghi da lui visitati e abitati, mi sembra di poter supporre che insieme, Luciano e Maurizio, passando da un’avventura all’altra, da un interesse all’altro abbiano goduto appieno della vita condivisa. A sostegno di questo mio pensiero voglio riportare i passi di due lettere che, dopo la morte del compagno, padre Maurizio ebbe a scrivere alla sopravvissuta Alexandrine in risposta alle sue continue richieste di memorie e di spiegazioni di eventi che lei non aveva vissuto in prima persona.
Nella prima, padre Maurizio fa il resoconto del viaggio che, al seguito di Luciano, fece per andare a Parigi per incontrare l’Imperatore appena ritornato dall’esilio nell’Isola d’Elba. Fu quella l’occasione della temuta-agognata riconciliazione tra i due fratelli; Luciano, tornato ad essere Principe di Francia, fu insignito della Legione d’Onore ed entrò a far parte del Consiglio dei Ministri in rappresentanza di Napoleone, partito per andare incontro alla definitiva disfatta.
Racconta padre Maurizio:
“Era verso la primavera del 1815 quando il Principe di Canino Luciano Bonaparte mi disse di tenermi pronto a partire da Roma per fare un lungo viaggio con lui. Mi disse che l’Imperatore Napoleone aveva lasciato l’Isola d’Elba, che era sbarcato in Francia e che marciava verso Parigi. Il Re di Napoli (Gioacchino Murat) si preparava a passare per gli stati del Papa con il suo esercito. Il Papa ed i cardinali erano partiti per Firenze, Genova… Il Principe mi disse di procurarmi un passaporto per l’Inghilterra dove noi avremmo preso sua figlia Christine che era restata a Londra. Ma che sua intenzione era di fermarsi in Svizzera dove avremmo potuto valutare cosa conveniva fare… Che era necessario che il mio passaporto fosse redatto negli stessi termini di quello che avevo ottenuto in precedenza a Londra da Lord Castelreagh e cioè per me, per il mio segretario e per un corriere. Andai così alla polizia e cambiai il vecchio passaporto con uno nuovo redatto negli stessi termini e l’indomani (giorno di Pasqua) verso sera eravamo sulla strada di Firenze.
Il Papa Pio VII era ancora lì e si preparava a partire per Genova. Io andai a Palazzo Pitti per portare una lettera del Principe al Cardinale Pacca Segretario di Stato che mi accolse molto cordialmente.
Partimmo da Firenze il giorno seguente e, passando da Milano senza fermarci, prendemmo la strada della Svizzera per Arona e Domodossola. Dovemmo prendere una slitta per scendere a Brig a causa della neve che fermò le vetture. Lo scarto improvviso del mulo di un contadino ci fece cadere verso il bordo di un precipizio…; grazie alla neve sulla quale cademmo come su un letto di piume la nostra slitta non subì danni. Ci riposammo a Brig per una notte ed il giorno seguente, dopo la messa che io dissi molto presto nella vicina chiesa, continuammo la strada della vallata dove, soprattutto a Saint Maurice (dopo Martigny verso Montreaux) le donne, al vociare del nostro equipaggio si precipitarono alle finestre, vestite a festa, allungavano la testa fiere di mostrarci i loro graziosi colli… era una meraviglia da non credere… attraversando così di seguito i paesi della Vandea sul bordo del lago, ci fermammo alle porte di Ginevra. Qui il Principe, dopo aver letto il giornale, mi disse che preferiva continuare fino a Parigi e forse fino a Londra senza fermarsi in Svizzera.
Non era prudente per me andare oltre vestito da religioso ed il Principe mi fornì il vestiario di cui abbisognavo. Prendemmo quindi la strada di Parigi e percorremmo le strade della Francia fino a Charanton (Charenton, sobborgo di Parigi N.d.T.), senza che nessuno ci chiedesse nulla ed io non ebbi bisogno di mostrare ad alcuno il mio passaporto in Francia.
A Charanton il Principe prese un appartamento all’Hotel della Posta e da lì inviò il suo corriere (Jean Roselli) al Principe Giuseppe. In due giorni ci furono diversi messaggi scambiati dai due fratelli. E lì a Charanton il Principe ricevette la visita dei suoi amici Rossi, Chatillon, Isoard.
Quindi il Principe mi disse che l’Imperatore voleva vedere il padre Maurizio. – Per fare cosa? – ¬ Io non lo so – Eh, va bene, eccomi – Io vi darò una lettera per mio fratello Giuseppe; gliela porterete e farete quello che vi dirà – Ma Signore, non devo dire niente all’Imperatore da parte vostra? – No, non sono io che vi invio ma lui che vi richiede. Tuttavia ho un avviso da darvi: se durante la conversazione vi trovate obbligato a parlare di me, non mi chiamate Principe di Canino perché potrebbe dispiacergli, chiamatemi il Principe Luciano. Andate e fate attenzione a tutto quello che vi dirà l’Imperatore per potermelo riferire in modo esatto.
Partii e arrivai all’Eliseo dove risiedeva il Principe Giuseppe.
Mi introdussero in una sala dove una ventina di persone aspettavano il Principe.
Dopo pochi minuti il Principe entrò, alla mia riverenza rispose con un sorriso incoraggiante e mi fece segno di attendere.
Ricevette tutti cominciando da quello che era alla mia sinistra lasciandomi per ultimo.
Passò dall’uno all’altro, ricevendo le suppliche e dando speranze a chi più a chi meno congedando tutti abbastanza contenti; tutto in un quarto d’ora.
Quando rimanemmo soli mi disse: – come sta mio fratello? – Molto bene Signore – Sapete che dovete vedere l’Imperatore? – Sono pronto – Azara, il mio aiutante di campo vi condurrà alle Tuileries, io sarò subito lì e vi presenterò. Dette gli ordini al Signor Azara che mi fece segno di essere pronto.
Noi montammo in vettura e scendemmo alle Tuileries, dove entrammo dalla piccola porta degli ufficiali.
Il principe Giuseppe non c’era e l’imperatore nemmeno. Noi ci mettemmo dunque, nell’attesa, nel vano d’una finestra per conversare. Qualche minuto dopo un signore entra dalla stessa parte dove eravamo entrati noi e, attraversando la sala a grandi passi, senza dir nulla ad alcuno, nemmeno al domestico di guardia, apre la porta e passa direttamente nell’appartamento dell’imperatore. È qualcuno, dissi a me stesso, che ha libero accesso. Egli era appena passato ed ecco un valletto esce dalla stessa porta e, squadrandomi dalla testa ai piedi, si avvicina all’uomo di guardia e gli dice all’orecchio:
– Che fa qui quel signore?
– È un ordine del principe Giuseppe.
Tutto ciò «a parte», come nella commedia, con la mano destra alzata e largamente aperta, perché il suono delle parole non si propagasse e tuttavia sussurrando abbastanza forte per essere inteso da tutti; il valletto fa un gesto d’approvazione, ritirandosi.
Riprendo allora la mia conversazione con il signor Azara e gli domando:
– Come si chiama quel signore che è passato ora?
– Constant.
– Lo conosco di fama.
Ma ecco un altro signore che passa come il primo, il cappello sotto il braccio sinistro, frettolosamente, in silenzio; egli apre la porta ed entra dall’imperatore... Per questa volta, pensavo io, non si verrà a domandarmi perché sono qui, giacché a quest’ora là dentro lo sanno... Niente affatto. Appena il signore è passato, un valletto si presenta e, come il primo, guardandomi e facendomi il gesto dell’«a parte », dice con tono imperioso all’uomo di guardia:
– Quel signore non deve essere qui.
– Ordine del principe Giuseppe.
Egli fa un cenno d’approvazione e si ritira.
– Chi è quest’altro signore che è passato? — domando al signor Azara.
– È Fouché...
In questo momento si sente un rumore di gente che s’avvicina. Il valletto di guardia apre i due battenti dicendo: “L’imperatore sta per passare”..
Effettivamente io vedo una lunga fila di cortigiani, con gli abiti ricamati, che entrano, camminando gravemente l’uno dopo l’altro... Il primo era già in fondo all’anticamera, quando un rumore di piedi, un psi! psi! si fa sentire in coda a questa processione. Tosto ognuno si volta e tutti, tenendo il loro cappello nella mano, se ne vanno correndo per la stessa porta per la quale erano entrati.
– Che c’è? – dice Azara al valletto di guardia che chiudeva i due battenti.
– È l’imperatore che, arrivando a quella porta, si è voltato per entrare nel suo appartamento dall’altra parte.
Infatti cinque minuti dopo la nostra porta si apre e mi si fa cenno d’entrare. L’imperatore era con il principe Giuseppe. Egli si volse verso di me e mi disse:
– Voi siete il padre Maurizio da Brescia?
– Sì, Maestà.
– La mia buona città di Brescia... Bravi abitanti! Io ho formato gli spiriti degli abitanti di Brescia... Mi si dice che amiate molto il Papa.
– Non faccio che il mio dovere.
– Io ho avuto molti torti con il Papa... Ma ora tutto è cambiato... Avevo una benda sugli occhi! Il Papa!... È un santo uomo il Papa... È molto che lo conosco; ma lo conoscevo male... Avevo una benda sugli occhi. Io ho sempre creduto che il Papa fosse un uomo molto debole. Quando egli ha cominciato a resistermi, ho pensato che fosse a causa della sua debolezza e dei cattivi consigli di quelli che lo circondano; ho voluto isolarlo. Egli resisteva ancora. L’ho trattato duramente. Ho avuto torto. Avevo una benda sugli occhi. Sapete chi mi ha illuminato?... i Borboni. Quando ho visto che il Papa resisteva ai Borboni per l’affare dei vescovi... Guarda... il Papa resiste ai Borboni come ha resistito a me!... Ho aperto gli occhi... Sì, il Papa è un uomo di coscienza. Si può minacciarlo di morte, egli non cederà se crede che la resistenza sia un dovere... Ora che ho aperto gli occhi, farò tutto per il Papa. Io riconosco tutti i suoi diritti, gli garantisco tutti i suoi Stati... Appena potrò mettermi in comunicazione con lui, gli farò la mia dichiarazione aperta e terrò la mia parola... Sì, terrò la mia parola!...
Parlando e insieme passeggiando, l’imperatore era arrivato più volte alla finestra; ma questa volta egli mise la testa contro il vetro in maniera da essere visto dal basso. Tosto si udirono le grida di «Viva l’Imperatore!» che risuonavano nei giardini e che sembravano rispondere a queste ultime parole dell’imperatore: — Sì, io terrò la mia parola”.
Fosse una mossa politica, fosse vero pentimento quello di Napoleone, sta il fatto che padre Maurizio si vide incaricato di un’ambasciata estremamente singolare e significativa, sia per il Papa, che per lo stesso Luciano. Infatti padre Maurizio capisce che si tratta di una messinscena per indurre Luciano a tornare a Parigi, quando, il giorno dopo, legge l’articolo sul Moniteur che parla di lui scambiandolo per Luciano che avrebbe visitato l’imperatore in incognito alle Tuileries e nel palco teatrale dove non aveva proprio messo piede!2
La seconda lettera, significativa per quanto affermato in precedenza, riguarda invece il periodo che i due trascorsero utilizzando il grande telescopio che Luciano aveva acquistato da Herschel, conosciuto all’epoca del soggiorno nel Galles:
“Nota sulla zona zenitale.
La Principessa di Canino, vedova di Luciano Bonaparte, mi chiede cos’è la zona zenitale di Senigallia, di cui il Principe suo marito si occupava e alla quale fa cenno nel suo Museum Etrusque a pag. 31. Rispondo che è un progetto amato, di cui il Principe si è occupato con ardore e piacere per qualche tempo e che ha abbandonato con rammarico nel dicembre 1828 per seppellirlo negli scavi di Canino…
... Possa questa nota dare desiderio a qualche astronomo di possedere uno strumento simile e di servirsene per tracciare una zona zenitale!
Io posso assicurarlo fin d’ora che non vi è posizione più confortevole che quella di osservare le stelle zenitali stando seduti comodamente, e le braccia appoggiate sul bordo del tubo, come sul ciglio di un pozzo, l’occhio naturalmente e senza sforzo appoggiato sull’oculare, l’orecchio teso al contatore dapprima ben regolato, con un segretario che scrive sotto dettatura tutto ciò che succede, e un ragazzo che conta a voce alta i secondi, senza muoversi, senza affaticarsi, ed ecco una processione di stelle, di mondi nuovi, che passano davanti ai vostri occhi, senza mai lasciare il campo vuoto … ecco un gruppo di stelle bianche ... scrivere a margine: i bianchi sorrisi di Madame esse passano al verticale: la prima al nord tre denti: la seconda a sud tre e mezzo: la terza rasenta il filo orizzontale: attenzione … là … là … là …Ecco due stelle che sembrano un paio di occhiali … scrivere: “gli occhiali del Principe.
Ecco un gruppo di nebulose che sembrano una parrucca: scrivere la parrucca di padre Boscovich …
Bisogna tuttavia stare attenti che nulla cada nel pozzo. A questo scopo abbiamo preso le nostre precauzioni e consiglio a chiunque voglia occuparsene, di fare altrettanto.
Musignano, 15 febbraio 1843
Il padre Maurizio da Brescia MO”
Come possiamo ben vedere dalla data riportata in calce a questa seconda missiva, dopo la morte di Luciano padre Maurizio si trattenne ancora a Canino dove la Principessa aveva proseguito nell’attività degli scavi archeologici nel tentativo di evitare il collasso finanziario che invece, in breve tempo, si rivelò inevitabile (di qui, la vendita della castellana al banchiere creditore Torlonia). Durante questo ultimo periodo trascorso in Maremma padre Maurizio intrattenne rapporti amichevoli con Henry Beyle (Stendhal) allora console francese a Civitavecchia e gli inseparabili suoi amici l’archeologo Pietro Mansi e l’antiquario Donato Bucci.
Arrivò infine per il nostro frate il momento di far ritorno nella sua amata Brescia, città di cui diventerà simbolo durante le sanguinose dieci giornate.
Eppure non si allontanò mai definitivamente da quella che era diventata la sua nuova famiglia; anche negli anni successivi continuò ad intrattenere costanti rapporti epistolari con la Principessa Alexandrine e con i figli di Luciano che a lui si rivolgevano quando avevano bisogno di consigli, fossero di natura medica o spirituale o varia; ma che continuarono ad essere pervasi di un grande rispetto, ricambiati dal sincero affetto di un frate ormai famoso che li riteneva ancora, famosi anche loro, come figli.


Bibliografia

- Giorgio Zanardini, “L’incontro con l’Imperatore”, in “Canino 2008, ottobre 2009


Note:

1.   fondatore della “Associazione Culturale Luciano Bonaparte Principe di Canino”, fondatore e direttore del trimestrale “Canino 2008”, autore della biografia di Luciano Bonaparte “Luciano Bonaparte Principe di Canino”, Tipografia Silvio Pellico, Montefiascone, 2012.
2.   Giorgio Zanardini, “L’incontro con l’Imperatore”, in “Canino 2008, ottobre 2009
maggio 2016
master.