Brescia Museo Diocesano

3 - 27 ottobre 2015

Atti del Convegno

Padre Maurizio da Brescia, archeologo

Giuseppe Della Fina1

Vi sono saggi che l’autore ha la presunzione di ritenere esaustivi, altri, invece, di cui chi scrive ha la consapevolezza piena della provvisorietà alla luce di una documentazione che s’intuisce decisamente più ampia di quella che si è esaminata. Questo scritto rientra nella seconda categoria: con esso si vuole soltanto iniziare ad indagare il rapporto tra padre Maurizio da Brescia e la ricerca archeologica.
Alcuni, pochi dati erano già noti e vengono ripetuti – di volta in volta, quasi stancamente verrebbe da dire – nelle ricostruzioni della figura di Luciano Bonaparte archeologo. Ci si riferisce al suo incontro con il Principe avvenuto a Roma, nel 1806, in occasione di una visita alle catacombe di San Sebastiano quando avevano rispettivamente 28 e 31 anni, all’ingresso nell’entourage di Luciano e alla successiva amicizia nata tra i due. Come pure ai comuni interessi culturali che andavano dall’astronomia all’archeologia senza dimenticare la musica, il teatro, la poesia.
Si rammenta, inoltre, seppure meno di frequente, il giudizio positivo dato dallo scrittore Stendhal, allora console francese a Civitavecchia, sul frate “archeologo” all’interno dell’articolo Les Tombeaux de Corneto, pubblicato postumo nella rivista “Revue des deux mondes” nel 1853 (lo scritto è datato “mars 1837”): “Per essere ammesso d’altronde nel novero così rispettabile degli archeologi, bisogna sapere a memoria Diodoro Siculo, Plinio e una dozzina di altri storici; in più bisogna aver abiurato ogni rispetto per la logica. Quest’arte importuna è il nemico accanito di tutti i sistemi: come può ora un libro di archeologia attirare l’attenzione del mondo, anche superficialmente, senza l’apporto di un sistema un po’ originale? Conosco undici teorie sull’origine dei vasi dipinti e delle tombe etrusche nascoste sotto terra. La più assurda è, almeno mi sembra, quella che presume che tutto ciò sia stato fatto sotto Costantino e i suoi successori. La teoria che adotterei egregiamente e che proporrei al lettore, pur convenendo che è disgraziatamente priva del tutto di prove sufficienti, è quella che mi è stata insegnata dal venerabile padre Maurizio, il quale, per un decennio, ha diretto scavi numerosi e importanti. Quest’uomo venerabile, di un’assoluta amabilità e informato su tutti gli storici del passato, come noi Francesi lo siamo per Voltaire, pensa che le tombe, che noi scaviamo, appartengano a un popolo molto antecedente agli Etruschi, forse contemporaneo dei primi Egiziani; e che come oggi la nostra religione ci insegna a collocare dei crocifissi sopra l’ultima dimora di chi ci è stato caro, così presso questo popolo primitivo si collocavano dei vasi o almeno delle coppe nelle tombe che si voleva onorare” (Stendhal, 1837, trad. it. 1983, pp. 64-65).
Elementi tutti che potevano suscitare qualche curiosità, ma, in fondo, niente di più. Ora mi sento di affermare che i documenti, raccolti in occasione della mostra allestita presso il Museo Diocesano di Brescia, e le anticipazioni apparse sulla rivista “Canino 2008”, trimestrale dell’Associazione Culturale Luciano Bonaparte Principe di Canino, a cura soprattutto di Giorgio Zanardini, in un volume di Mauro Marroni e nel catalogo di una recente esposizione da lui curata (Marroni, 2012, pp.221-249; Zanardini, 2014, pp. 45-49 e pp. 165-174) cambiano il quadro e iniziano a dare un ruolo autonomo a padre Maurizio nel quadro dell’archeologia italiana degli anni Venti, Trenta e Quaranta dell’Ottocento vale a dire nella stagione del Romanticismo.
Partiamo, innanzitutto, dai riconoscimenti dell’ambiente archeologico del tempo: la nomina a socio corrispondente del prestigioso Instituto di Corrispondenza Archeologica nel 1830 e, più tardi, a membro ordinario soprannumero della Pontificia Accademia Romana di Archeologia (15 gennaio 1846) e ad accademico onorario dell’Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei dal 1847 (www.padremauriodabrescia.it). Si tratta di tre riconoscimenti significativi, ricevuti ad anni di distanza, a testimoniare un’attenzione e una considerazione durate nel tempo; gli ultimi due, inoltre, lontano dall’eco mediatico che aveva suscitato la riscoperta delle necropoli di Vulci da parte del Principe di Canino.
Si può aggiungere una valutazione di Eduard Gerhard – per nulla valorizzata – che associa (e quasi mette sullo stesso piano) Luciano Bonaparte e padre Maurizio nella conduzione degli scavi vulcenti: “ Speriamo inoltre di poter ben presto annunziare al pubblico un’edizione delle notizie intorno ai sepolcri dissotterrati, che per l’indifesso lavoro di V.E. e del Rmo padre Maurizio da Brescia furono giornalmente notate, affinché alcun frutto non possa perdersi di quanto una sì costante diligenza ha ritolto all’oblio di tanti secoli”. La nuova documentazione è testimoniata da alcune lettere e dal manoscritto di una relazione sugli scavi di Canino inviata da padre Maurizio all’Accademia degli Ardenti di Viterbo dove venne letta nella seduta del 27 giugno 1833 (Marroni, 2014, p. 169; www.padremauriodabrescia.it). Di quest’ultima si conservano due versioni: una sorta di brutta e di bella copia (www.padremauriodabrescia.it).
Tra le lettere, due sembrano particolarmente interessanti: una risale all’11 dicembre 1851 ed è indirizzata, in lingua francese, ad Alexandrine de Bleschamp, vedova di Luciano Bonaparte, come risposta a una missiva precedente della principessa che chiedeva notizie sugli inizi degli scavi.
Si riportano, in traduzione, i brani più significativi ai nostri scopi: “Poiché avete la bontà di credermi capace di risolvere i vostri dubbi, mi accingo al meglio a tentare di soddisfarvi. Ma non crediate, Madame, che possa rispondervi senza esitazioni al pari di uno scolaro che sta passando un esame per ottenere i titoli e terminare la scuola. Sapete che fa freddo quest’anno, più che l’anno passato? Poniamoci dunque ad un angolo del camino ... E che Jean ci prepari una tazza di thè … e chiacchieriamo insieme … voi vorreste sapere con precisione la data dell’anno in cui avete iniziato i primi scavi a Canino? ... Aspettate … abbiamo trascorso l’estate del 1808 a Firenze a Palazzo Ximenes, non è vero? Se non mi sbaglio, e voi potete correggere il mio errore, poiché fu da Palazzo Ximenes che il Principe partì per recarsi all’incontro con la regina di Napoli che stava per andare in Spagna … l’inverno che seguì noi fummo per la prima volta tutti a Canino. E quell’anno, 1808-1809, non vi furono scavi, ma il principe ordinò a M. Boury di ampliare i bagni di Canino, lavori che furono eseguiti nell’autunno, e noi potemmo usufruire del grande bagno nell’inverno 1809-1810. Fu allora, che andando ai bagni, al principe venne l’idea di scavare sopra al vostro bagno nelle rovine degli antichi bagni etrusco-romani.
Fu là che facemmo delle scampagnate. Voi portavate con le vostre damigelle quanto vi necessitava per ricamare o tessere, c’era la vostra dama di compagnia, Mme Vervilli, e poi Mme Cerviere. Fu là che venne trovata la statua di Igea senza testa, e che M. Marin vi pose una testa in gesso ispirandosi al ritratto di Lolotte. E che M. de Des-bancs realizzò la pianta degli scavi, che lo fece disperare. Tutto questo ebbe luogo prima della partenza per l’America. Così dai miei ricordi, abbiamo passato un’estate a Firenze, l’inverno successivo a Canino, e poi l’estate a Lucca, e l’inverno degli scavi a Canino, poi l’estate alla Rufinella da dove siamo partiti per Civitavecchia all’inizio del mese di agosto del 1810, certamente”. Il realizzatore della pianta degli scavi va identificato probabilmente con l’architetto Jean-Baptiste Desdéban o Dédeban (1781-1833), “architetto pensionato dell’Accademia di Francia, di cui hanno fatto più volte onorevole menzione i pubblici fogli di Parigi” ricordato da Bartolomeo Gandolfi (Gandolfi, 1810, p. 18; Natoli, 1995, pp. 397-398).
L’inizio degli scavi presso i bagni viene fatto iniziare, nei ricordi di padre Maurizio, nell’inverno del 1809-1810 confermando nella sostanza i dati scaturiti dalla documentazione esaminata – negli anni scorsi – da Paolo Liverani (1995, pp. 49-51) per la quale l’inizio degli scavi risalirebbe all’inverno-primavera del 1809.
A questo proposito va ricordato che tale data – il 1809 – è ricordata nel Catalogo di scelte antichità etrusche trovate negli scavi del Principe di Canino. 1828-1829, Viterbo, 1829 (nella di poco successiva edizione francese s’indica, invece, il 1807) (Bonaparte L., 1829, p. 173; ed. franc. P. 14). Il trasporto della statua di Igea a Roma – nella testimonianza del restauratore e mercante d’arte Vincenzo Pacetti – sarebbe avvenuto tra il 12 agosto 1809 (il principe “fà caricare la statua trovata a Canino per trasportarla a Roma perché sia ristaurata; rappresenta una donna panneggiata nobilmente in marmo greco”) e il 17 agosto (“È arrivata la suddetta statua da Canino nel mio studio per farvi il ristauro, essendo mancante di testa e le due mani”) (Liverani, op. cit., p. 60).
Nella missiva di padre Maurizio viene ricordato, inoltre, il luogo esatto del rinvenimento della cosiddetta statua di Igea: “Sopra al vostro bagno nelle rovine degli antichi bagni etrusco-romani”.
In questa sede preme sottolineare soprattutto che, per padre Maurizio (e, con ogni probabilità, per la stessa principessa), l’inizio delle ricerche a Canino, da parte dei Bonaparte, viene riconosciuto in queste indagini e non nelle successive e ben più fortunate campagne di scavo avviate nel 1828. Come pure che l’interesse per l’archeologia da parte sua si può fare risalire a questi anni e non al termine degli anni Venti dell’Ottocento. Egli, infatti, sembra aver seguito da vicino già queste prime ricerche: lo suggeriscono il ricordo sufficientemente preciso del loro avvio, la menzione della scoperta della statua riconosciuta come Igea e la memoria delle difficoltà incontrate per redigere la pianta degli scavi.
Racconta padre Maurizio:
L’altra lettera si riferisce a una fase diversa degli scavi condotti dai Bonaparte a Canino (www.padremauriziodabrescia.it). Padre Maurizio la indirizza al nipote nel marzo del 1846: “Scrivo a Roma perché arrivando all’Araceli l’opera del sig. conte Francesco Gambara, sia subito portata al sig. Principe [si tratta di Carlo Luciano Bonaparte N.d.T.]. Quanto all’esemplare destinato a me, questo viene a tempo, quando io sarò a Brescia. Gli scavi continuano a dare piccoli oggetti curiosi ma di poco valore. Del monumento non se ne può parlare, finché non sia venuta a riconoscerlo la commissione delle Belle Arti di Roma. Salutate tutti i parenti e gli amici e abbracciate tutti di casa come io vi abbraccio. Viterbo Canino, 23 marzo 1846”.
Il nostro sembra quindi continuare a seguire le ricerche, o più probabilmente a informarsi su di esse, anche dopo la morte di Luciano Bonaparte avvenuta nel 1840 e in una fase sulla quale caddero gli strali polemici dell’archeologo, scrittore di viaggi e diplomatico inglese George Dennis: “Alla bocca del pozzo in cui gli operai lavoravano, stava il capo o guardiano: il fucile al fianco stava a indicare agli uomini di fare attenzione a non rompere e a non rubare gli oggetti. Li trovammo che stavano aprendo una tomba. Il tetto, come di frequente di tufo leggero e friabile, era caduto e la tomba era piena di terra, e gli oggetti che conteneva dovevano essere estratti fuori con fatica, uno alla volta. Questo è generalmente un procedimento che richiede grande cura e attenzione e di queste lì se ne usavano poche”(Dennis, 1848, pp. 567-569 trad. it. 2015).
Un appunto, rinvenuto nell’epistolario di padre Maurizio, riporta alcune indicazioni per restaurare i vasi a testimonianza del suo impegno nel seguire anche gli interventi successivi allo scavo: “Per ristaurare i vasi etruschi. Tre once di gomma lacca, e nove di spirito di 21° 22 gradi per i colori giallo, pavonazzo, e bianco. Quattro once di gomma lacca e otto di spirito per il color nero” (Marroni, 2012, p. 229; www.padremauriziodabrescia.it).
Un interesse maggiore riveste la dissertazione archeologica inviata all’Accademia degli Ardenti di Viterbo (Marroni, 2014, p. 169; www.padremauriziodabrescia.it) che rappresenta, da un lato, il resoconto di padre Maurizio sulle scoperte effettuate a Canino e, dall’altro, la sua posizione nella querelle sull’etruscità o meno dei vasi figurati scoperti in Etruria. Un dibattito avviato da Johann Johachim Winckelmann e Luigi Lanzi alcuni decenni prima, ma ancora vivace nei primi anni Trenta dell’Ottocento quando assunse toni polemici e – come vedremo – risvolti politici.
La relazione si apre con un’analisi dell’impatto avuto dagli scavi effettuati: “Gli scavi del Sig. Principe di Canino hanno risvegliato la curiosità dei dotti fin dal mille ottocento ventinove, quando venne pubblicato il Catalogo di scelte antichità etrusche tratto da più di duemila numeri di oggetti, e specialmente di vasi dipinti discoperti nel corso di sei mesi dalle terre etrusche in vicinanza di Canino. Le società letterarie non solo d’Italia, ma d’oltre mari, e d’oltre monti si sono interessate a queste scoperte, l’importanza delle quali viene paragonata con quella degli scavi di Pompei e di Ercolano” (p. 1).
Poi l’attenzione si sposta sull’analisi dei “vasi dipinti” rinvenuti e sul loro luogo di fabbricazione: la Grecia, o la penisola italiana. Padre Maurizio – sulle stesse posizioni di Luciano Bonaparte – si schiera in maniera convinta a favore della seconda ipotesi. Lo fa – nel testo in esame – argomentando su piani diversi: inizialmente ridimensiona i ritrovamenti avvenuti in Grecia arrivando – in qualche caso – a metterli addirittura in dubbio e facendo ricorso a un’ironia sottile.
Quindi introduce un argomento più forte rivendicando la scrupolosità (la scientificità, potremmo dire noi oggi) degli scavi del Principe a fronte delle ricerche disordinate condotte in Grecia: “Agli scavi di Ercolano, e di Pompei presiede un direttore con regia, e pubblica autorità, il quale rende conto al governo, e spesso anche al pubblico degli oggetti, che ivi si trovano. Il giornale, ed i rapporti di questi direttori fanno testo istorico, e gli oggetti da essi esposti si devono riguardare come autentici, e irrefragabili. Similmente gli scavi del Principe di Canino, e gli oggetti ch’egli ha publicati o sta per publicare, in quanto al materiale loro ritrovamento, e al luogo preciso dove si sono trovati sepolti.
Ora siccome dei vasi dipinti simili a quelli del Principe di Canino si dicono trovati in Tebe, in Atene, in Corinto, ed altri paesi della Grecia propriamente detta, è necessario per l’esame delle diverse opinioni sull’originaria provenienza di questi vasi, esaminare i fondamenti e le autorità, sulle quali riposano” (p. 2).
Di seguito si sofferma a lungo sulle iscrizioni presenti sui vasi: “Esaminiamo prima le numerose iscrizioni, e vediamo se coll’aiuto degli occhi nostri propri, e de’ libri che ne parlano possiamo comprenderci qualcosa” (p. 6). Riconosce che sono in lingua greca: “Io pongo adunque non come ipotesi, ma come un fatto, che salta agli occhi di tutti, che le iscrizioni di Canino, se non tutte, almeno in gran parte sono greche” (p. 9).
Ciò non gli sembra sufficiente, comunque, per attribuire la produzione dei vasi alla Grecia: “ragionevolmente possiamo riguardare questi monumenti come nazionali, ancorché greche siano le iscrizioni, a meno che non sia dimostrato che il Principe di Canino o qualcun altro prima di lui abbia introdotti dalla Grecia questi monumenti a migliaia e migliaia, e li abbia sepolti, o potuti seppellire in terra etrusca” (pp. 9-10).
Il dato del luogo del ritrovamento per padre Maurizio appare come l’indicatore principale per tentare di localizzare una produzione. Noi oggi sappiamo che non è vero, dato che la rete dei commerci nel Mediterraneo antico era assai sviluppata, ma, al tempo, molti ritenevano impossibile ipotizzare uno scambio di prodotti così ampio e quindi il luogo di ritrovamento sembrava dover coincidere all’incirca con quello di fabbricazione. Dubbi, in proposito, erano stati avanzati già, come si è accennato in precedenza e, nel 1831, era stato pubblicato il saggio Rapporto Volcente di Eduard Gerhard (1831, pp. 5-270. Sul tema si vedano alcuni interventi di Costantini, 1995, p. 219; 1997 pp. 78-86; 1998, pp.207-436) che affermò con decisione la grecità dei vasi, ma la tesi opposta continuava ad avere sostenitori.
Come padre Maurizio risolse il problema della grecità delle iscrizioni? Ipotizzando un’epoca nella quale il greco sarebbe stato una lingua diffusa nella penisola italiana. Tale età sarebbe coincidente – sulla scorta di una lettura, un poco di comodo, del Saggio di lingua etrusca e di altre antiche d’Italia di Luigi Lanzi (1789) – “Coi tempi mitologici, quando i Pelasghi primi Italiam tenuisse perhibentur. Quando in Italia, da ogni parte piena di Greci, si poteva dire che non si usasse altra lingua fuor che la greca” (p. 13).
Di conseguenza: “I monumenti del Principe di Canino, che si avvicinano il più alla forma delle lettere greche antiche, e circum-troiane sono monumenti nazionali della nostra antica Italia appartenenti all’epoca seconda di Lanzi, epoca in cui l’uso commune di scrivere in questi paesi era il greco; epoca circum-troiana aureo secolo delle lettere greche in Italia portate da Pelasghi, e nominativamente dall’Arcade Evandro, prima della guerra di Troia” (pp. 15-16).
Padre Maurizio appare convinto della sua tesi e osserva: “Tutto va bene mi disse taluno; ma queste non sono che congetture: congetture quanto si vuole; ma congetture appoggiate all’autorità di Tacito commentato da Lanzi, parmi che debbano avere un certo peso da non disprezzarsi” (p. 16).
Una conferma di tale ipotesi per padre Maurizio scaturisce anche dall’analisi stilistica: “Lo stile delle pitture dei vasi di Canino, le figure degli Dei, gli attributi, i costumi e perfino gli ornamenti tutti annunziano l’epoca pelasga, ed escludono l’ellenica” (p. 31). E prosegue: “Dunque le rappresentazioni di queste pitture appartengono all’epoca pelasga, all’aureo secolo delle lettere greche in Italia, appunto come ce l’hanno indicata i monumenti scritti” (p. 32).
Il nostro si rende conto che tali affermazioni rischiano di offuscare gli Etruschi e allora elabora una sorta di compromesso: “Ma se i vasi di Canino sono Greci e Pelasghi non sono etruschi? Piano un poco. I vasi del Principe di Canino, che portano iscrizioni greche, e rappresentazioni pelasgiche non sono di quell’epoca pura etrusca nella quale gli Etruschi ebbero lettere a parte, distinte dalle latine e dalle elleniche; in questo senso non sarebbero bene indicati col chiamarli puramente etruschi. Ma come sono incontrastabilmente trovati in Etruria parmi giusto, che nella loro speciale appellazione si conservi un cenno all’autentico loro ritrovamento, non meno, che dell’epoca alla quale appartengono pei loro dipinti, e da noi esaminati caratteri … [pertanto] non vedo che difficoltà ci potrebbe essere per chiamare i monumenti di Canino Pelasgo-Etruschi” (p. 34-35).
TL’idea di una fase “pelasgo-etrusca” è presente nella Nota del Principe di Canino pubblicata a commento del Catalogo di scelte antichità etrusche trovate negli scavi del Principe di Canino. 1828-1829 e ritorna in altri interventi di Luciano Bonaparte (Bonaparte L., op. cit., pp. 171-185; Costantini, 1995, pp. 234-237 in particolare) a confermare lo scambio di opinioni tra i due e una visione comune. Non sembra forzato avanzare l’ipotesi che l’intuizione della fase “pelasgo-etrusca” sia da attribuire proprio a padre Maurizio che aveva una buona preparazione classica; si ricordi, in proposito, l’affermazione di Stendhal: “Quest’uomo venerabile, di un’assoluta amabilità e informato su tutti gli storici del passato, come noi Francesi lo siamo per Voltaire, pensa che le tombe, che noi scaviamo, appartengano a un popolo molto antecedente agli Etruschi, forse contemporaneo dei primi Egiziani” (Stendhal, op. cit., pp. 64-65).
Tale ardito castello di ipotesi venne giù definitivamente nei decenni seguenti a seguito di nuove sensazionali scoperte e, soprattutto, dell’evoluzione metodologica della disciplina archeologica. Per noi oggi può essere interessante provare a comprendere i motivi per i quali venne eretto.
Nel caso di padre Maurizio interessi diretti nel commercio di antichità, presenti invece nei coniugi Bonaparte, vanno esclusi. Inoltre egli - come si è visto – non considera i reperti scoperti come pienamente etruschi: una caratteristica particolarmente apprezzata sul mercato di antichità del tempo (si ricordi, in proposito, che nel Dizionario dei luoghi comuni di Gustave Flaubert (1881) si afferma: “Etrusco ? Tutti i vasi antichi etruschi”) e quindi – in un qualche modo? ne ridimensiona il loro potenziale valore economico.
L’insistenza nel volervi riconoscere “monumenti nazionali della nostra antica Italia” mi sembra che rientri in un pensiero politico – diffuso in diversi ambienti intellettuali italiani dei decenni finali del Settecento e dell’Ottocento (sino ad unificazione avvenuta) al quale, tra l’altro, aveva pienamente aderito Luciano Bonaparte – che guiderà in seguito il comportamento di padre Maurizio durante la stagione risorgimentale.
Tale pensiero politico intendeva esaltare la penisola italiana e l’Etruria, in particolare, quale culla della civilizzazione mediterranea ed europea: l’Italia non era soltanto un’espressione geografica – secondo la celebre espressione del Metternich – ma una Nazione con una storia luminosa alle spalle (Della Fina, 2005, pp. 633-637; 2011; 2014, pp. 104-112). Con ciò non si vuole affermare che padre Maurizio e Luciano Bonaparte fossero schierati su posizioni filoitaliche – in corso di superamento nel dibattito scientifico tra gli antichisti – strumentalmente, ma che ne comprendevano a pieno il valore ideale e vi riconoscevano le basi ideologiche per un riscatto più o meno prossimo dell’Italia, al quale, probabilmente Luciano legava un suo (o di un esponente più giovane della famiglia) possibile futuro politico.


Bibliografia riferita a "Luciano Bonaparte archeologo"

- Buranelli F. (1995). Gli scavi di Vulci (1828-1854) di Luciano ed Alexandrine Bonaparte Principi di Canino. In: Natoli M. (a cura di). Luciano Bonaparte. Le sue collezioni d’arte, le sue residenze a Roma, nel Lazio, in Italia (1804-1840). Roma, Ist. Pol. Stato, pp. 81 e ss.
- Cavoli A. (2007). Il ribelle. Storia di Luciano Bonaparte Principe di Canino, Roma, Stampa alternativa, 2007.
- Costantini A. (1995). Eduard Gerhard e Luciano Bonaparte. In: Natoli M. (a cura di). Luciano Bonaparte. Le sue collezioni d’arte, le sue residenze a Roma, nel Lazio, in Italia (1804-1840). Roma, Ist. Pol. Stato, pp. 219 e ss.
- Costantini A., Hausmann Ch. (2003). Lucien Bonaparte, Prince de Canino: Citations archéologiques. In: “Archeologiae”, 1, pp. 3-79.
- Della Fina G.M. (2004), (a cura di). Citazioni archeologiche. Luciano Bonaparte archeologo. Roma, Qasar.
- Della Fina G.M. (2005). Luciano Bonaparte archeologo. Nuove prospettive. In: AA.VV. Dinamiche di sviluppo delle città nell’Etruria meridionale. Atti del XXIII Convegno di Studi Etruschi e Italici. Pisa-Roma, pp. 633-637.
- Della Fina G.M. (2014). Vulci: Luciano Bonaparte archeologo. In: Marroni M. (a cura di). Canino. Museo a cielo aperto di Luciano Bonaparte. Catalogo della mostra. Montefiascone, Tip. Silvio Pellico, pp. 104-112.
- Liverani P. (1995). La collezione di antichità classiche e gli scavi di Tusculum e Musignano. In: Natoli M. (a cura di). Luciano Bonaparte. Le sue collezioni d’arte, le sue residenze a Roma, nel Lazio, in Italia (1804-1840). Roma, Ist. Pol. Stato, pp. 49 e ss.
- Marroni M. (2012). Luciano Bonaparte Principe di Canino. Montefiascone, Tip. Silvio Pellico.
- Nardi S. (1996), (a cura di). Je deviens antiquarie en diable! Io, Stendhal, console a Civitavecchia e “cavatesori” (1831-1842). Catalogo della mostra. Tarquinia.
- Pietromarchi A. (1981). Luciano Bonaparte principe romano. Reggio Emilia, Città Armoniosa.
- Simonetta M., Noga Arikha (2011). Il fratello ribelle di Napoleone. Milano, Bompiani.


Bibliografia

- Bonaparte L. (1829). Catalogo di scelte antichità etrusche trovate negli scavi del Principe di Canino. 1828-1829. Viterbo. Edizione francese: Museum Etrusque de Lucien Bonaparte Prince de Canino, fouilles de 1828 à 1829. Vases peints avec inscriptions, Viterbo.
- Bonaparte L. (1829). Note del Principe di Canino. In: Catalogo di scelte antichità etrusche trovate negli scavi del Principe di Canino. 1828-1829. Viterbo. Edizione francese: Museum Etrusque de Lucien Bonaparte Prince de Canino, fouilles de 1828 à 1829. Vases peints avec inscriptions, Viterbo.
- Costantini (1995). Eduard Gerhard e Luciano Bonaparte. In: Natoli M. (a cura di). Luciano Bonaparte. Le sue collezioni d’arte, le sue residenze a Roma, nel Lazio, in Italia (1804-1840). Roma, Ist. Pol. Stato.
- Costantini A. (1997). Eduard Gerhard e gli scavi a Vulci di Luciano e Alexandrine Bonaparte. In: Dem Archäologen Eduard Gerhard 1795-1867 zu seinem 200. Geburstag. Berlin, Winckelmann-Institut der Humboldt-Universität zu Berlin, 2.
- Costantini A. (1998). Roma nell’età della Restaurazione: un aspetto della ricerca archeologica. La collezione dei vasi attici di Luciano e Alexandrine Bonaparte riprodotta nei disegni del “Gerhard’scher Apparat”. In: Memorie dell’Accademia dei Lincei, serie IX, X, 3.
- Della Fina G.M. (2005). Luciano Bonaparte archeologo. Nuove prospettive. In: AA.VV. Dinamiche di sviluppo delle città nell’Etruria meridionale. Atti del XXIII Convegno di Studi Etruschi e Italici. Pisa-Roma.
- Della Fina G.M. (2011), (a cura di). La fortuna degli Etruschi nella costruzione dell’Italia unita. Atti del XVIII Convegno Internazionale di Studi sulla Storia e l’Archeologia dell’Etruria. In: “Annali della Fondazione Claudio Faina”, XVIII. Roma, Qasar.
- Della Fina G.M. (2014). Vulci: Luciano Bonaparte archeologo. In: Marroni M. (a cura di). Canino. Museo a cielo aperto di Luciano Bonaparte. Catalogo della mostra. Montefiascone, Tip. Silvio Pellico.
- Dennis G. (1848). The Cities and Cemeteries of Etruria. Prima ed.: London, 1848. Trad. it. di Mantovani D.: Città e necropoli d’Etruria, I, a cura di Chiatti E. e Nerucci S., Siena, Nuova Immagine Ed., 2015.
- Gandolfi B. (1810). Acque termali del bagno del sig. Senatore Luciano Bonaparte e Fumajuolo nelle vicinanze di Canino. Roma. (Ristampa anastatica, Canino, 2005.)
- Gerhard E. (1831). Rapporto Volcente, in ”Annali dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica”, III.
- Simonetta M., Noga Arikha (2011). Il fratello ribelle di Napoleone. Milano, Bompiani.Liverani P. (1995). La collezione di antichità classiche e gli scavi di Tusculum e Musignano. In: Natoli M. (a cura di). Luciano Bonaparte. Le sue collezioni d’arte, le sue residenze a Roma, nel Lazio, in Italia (1804-1840). Roma, Ist. Pol. dello Stato.
- Marroni M. (2012). Luciano Bonaparte Principe di Canino. Montefiascone, Tip. Silvio Pellico.
- Marroni M. (2014), (a cura di). Canino. Museo a cielo aperto di Luciano Bonaparte. Catalogo della mostra. Montefiascone, Tip. Silvio Pellico.
- Natoli M. (1995). Le residenze di Luciano Bonaparte a Roma, nel Lazio e in Italia (1804-1840). In: Natoli M. (a cura di). Luciano Bonaparte. Le sue collezioni d’arte, le sue residenze a Roma, nel Lazio, in Italia (1804-1840). Roma, Ist. Pol.Stato.
- Stendhal (Henri-Marie Beyle), (1837). Le tombe di Corneto. Con una premessa di Grechi G.F., pp. 19-30. Tarquinia, Tip. A. Giacchetti, pp. 64-65, 1983. Si veda anche: Nardi S. (a cura di). Je deviens antiquarie en diable! Io, Stendhal, console a Civitavecchia e “cavatesori” (1831-1842). Catalogo della mostra. Tarquinia, 1996.
- Zanardini G. (2014). Padre Maurizio Malvestiti e il Principe Luciano Bonaparte. In: Marroni M. (a cura di). Canino. Museo a cielo aperto di Luciano Bonaparte. Catalogo della mostra. Montefiascone, Tip. Silvio Pellico.
Sito Internet: www.padremauriziodabrescia.it


Note:

1.   Direttore scientifico della Fondazione per il Museo “C. Faina” e docente a contratto di Storia romana presso l’Università degli Studi dell’Aquila. Collabora alla rivista “Archeo”, di cui è membro del Comitato scientifico, e alle pagine culturali del quotidiano “La Repubblica”. Dirige, inoltre, la rivista “Archaeologiae. Research by Foreign Missions in Italy”. Ha scritto numerosi volumi di archeologia e storia antica per editori italiani e stranieri e curato diverse mostre di carattere archeologico. Da ultimo, si segnalano il manuale universitario Gli Etruschi, scritto insieme a Giuseppe Sassatelli, la monografia della rivista Archeo Gli Etruschi si raccontano. Personaggi, tempi e luoghi e il volume Il mare inquieto della quiete. Una storia degli Etruschi.
2.   Vedi: Bibliografia Luciano Bonaparte archeologo.
3.   Risposta del prof. Gerhard all’antecedente lettera di S.E. il principe di Canino, in “Bullettino dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica”, 1829, p. 121.
maggio 2016
master.